(Firenze, IV Congresso dei Democratici di Sinistra, 21 aprile 2007)
LA SCATOLA E L’APRISCATOLE di Marina Sereni - L'Unità Con le primarie di domenica nasce il Partito Democratico. Dieci anni fa, alla vigilia del Congresso del Pds (ai tempi della Cosa 2), Baricco scrisse su Micromega un pezzo che mi colpì molto e che sono andata a rileggere. Scriveva: «Se penso alla politica - al gesto della politica, così come l’ho studiato sui libri - mi viene da pensare che sia un gesto che ne contiene due. E mi viene in mente la strana storia del cibo in scatola. È andata così: che un giorno, nel 1810, un signore americano ha avuto un’idea geniale, cioè mettere il cibo in una scatola, in tutto uguale a quelle che fanno ancora oggi.
Il tipico barattolo. Ora: la cosa curiosa - assurda ma storicamente documentata - è che passarono 45 anni, e solo dopo che furono passati tutti e 45 arrivò un uomo e quel che fece fu : inventare l'apriscatole. Fa ridere, ma andò proprio così. (le aprivano a sassate, le scatole, prima o a cacciavitate, non so.) Nella sua assurdità, questa storia ha il pregio di rendere visibile la separazione tra due gesti che, sulla carta, tendiamo a sovrapporre: inventare qualcosa e imparare ad usarla, a farla funzionare. Ed è qui che si arriva alla politica. La politica, così come l’ho studiata sui libri, è due gesti in uno: inventare la scatola e realizzare il sistema per aprirla senza ammazzarsi. È immaginare uno scenario che prima non esisteva e simultaneamente renderlo vivibile, funzionante. E' un incrocio acrobatico di utopia e realismo, di fantasia e di buon senso. La politica è una prodezza. La politica, oggi, lavora a costruire apriscatole: ma ha da tempo smesso di inventare scatole. La politica ha perso un pezzo. Oggi è un gesto incompleto: gestisce il reale: ha smesso di inventare il possibile».
Ecco, a distanza di dieci anni da quelle parole, mi vengono in mente due riflessioni. La prima è che quando la politica perde la capacità di “inventare il possibile” pian piano perde anche la capacità di “gestire il reale”.
La seconda è che il Partito Democratico nasce anche per scommettere sulla possibilità di una politica che torni a riunire “scatola e apriscatole”.
Merito, apertura, libertà, eguaglianza, differenze, opportunità, solidarietà, mercato, sostenibilità, sviluppo, buona occupazione, sicurezza, Stato, persona, laicità, nuovo umanesimo, spirito civico, sintesi. Intorno a queste parole in questi mesi si è sviluppato un dibattito ampio che - al di là e oltre qualche asprezza polemica legata alla competizione delle primarie - ha reso visibile un corpo di idee che ci uniscono.
Molto più generico è ancora il profilo del PD dal punto di vista della “forma partito”. Questo sarà a mio parere il terreno più difficile e complesso che dovremo affrontare.
Per parte mia provo ad elencare alcuni spunti di riflessione, partendo ovviamente dalla mia esperienza parziale.
- Credo che il PD debba essere un partito di stampo “europeo”, cioè un partito attivo sempre e non soltanto in occasione delle campagne elettorali, fondato su un'organizzazione permanente e non temporanea. Ciò significa poter contare su una base di aderenti ai quali riconoscere un "potere" in più rispetto al semplice elettore.
- Gli aderenti, gli iscritti al partito non possono organizzarsi soltanto su una dimensione territoriale e su un modello piramidale, dovremo inventare un modello più articolato e flessibile.
- Al tempo stesso il radicamento nel territorio deve restare uno dei punti di forza unendo strumenti vecchi e nuovi. Formazione politica, comunicazione, uso delle ricerche sociali e demoscopiche non sono in contraddizione con il ricostruire legami, tessere una rete di relazioni con la società reale, con le persone in carne ed ossa là dove vivono, lavorano, studiano, soffrono, sono felici. Come si “organizza” questa rete di relazioni?
- Abbiamo già stabilito che il PD sarà un partito nazionale con una forte ispirazione federale. Al Nord, più che altrove, ci dobbiamo misurare con la domanda di modernizzazione e di riforma. Lì, più che altrove, ci dobbiamo misurare con le paure di strati popolari che si sentono messi ai margini e "minacciati" dai mutamenti della globalizzazione. Altrettanto grande sarà la sfida al Sud. Lì, più che altrove, dovremo saper dimostrare ai tanti che non si rassegnano al potere della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta che stiamo lavorando per una politica trasparente.
- Dovremo darci un “Codice di autoregolamentazione” su alcuni punti di particolare sensibilità nel rapporto con l'opinione pubblica: non candidare persone che si siano macchiate di reati contro la Pubblica Amministrazione, introdurre limiti al numero di mandati elettivi che si possono ricoprire ad ogni livello, stabilire che le primarie aperte agli elettori divengano la modalità ordinaria di scelta delle candidature, in particolare per le cariche istituzionali e di partito monocratiche e apicali.
- Il regolamento delle primarie ha fatto una sacrosanta forzatura per avere molte donne elette nelle Assemblee costituente. Avremo poche segretarie regionali donne, dobbiamo lavorare su province e città. Credo poi che le donne dell'Assemblea costituente dovranno incontrarsi tra loro e riflettere sul se - e semmai come - promuovere nel PD anche forme di organizzazioni di sole donne e cosa eventualmente inserire nello Statuto.
- Il punto più delicato che dovremo risolvere riguarda le modalità di regolazione del pluralismo interno. In generale so che un partito pluralista deve darsi delle regole che garantiscano le minoranze e consentano alla maggioranze di guidare il partito con sufficiente forza e incisività. So anche che per me l’unità del partito è un valore, spesso da anteporre a legittime battaglie politiche. Tradurre questi desideri, e magari quelli diversi di altri, in regole non sarà facile. Anche per questo mi pare saggio non far trascorrere troppo tempo tra le primarie e il primo Congresso del Pd.
- Nella fase congressuale di Ds e Dl il tema della collocazione internazionale è stato usato spesso come “arma impropria” nella battaglia politica interna ai partiti. L’obiettivo finale almeno è chiaro: costruire un’organizzazione internazionale che unisca i partiti socialisti a tutte le altre forze progressiste. Il dialogo tra Internazionale Socialista e Democratici americani è aperto ormai da diversi anni. Credo che il Pd possa essere attore di questo processo se, soprattutto in Europa, sapremo portare su questa strada tutti i socialisti. Ecco perché sono convinta che la collocazione transitoria del Pd non possa che essere dentro il Pse e l’Internazionale Socialista perché questo mi sembra l’unico modo per raggiungere l’obiettivo che tutti insieme vogliamo perseguire: una casa nuova per i progressisti, i riformatori, i socialisti e i democratici in Europa e nel mondo.