mercoledì 19 dicembre 2007

La rosa


La rosa
no buscaba la aurora:
casi eterna en su ramo,
buscaba otra cosa.

La rosa,
no buscaba ni ciencia ni sombra:
confín de carne y sueño,
buscaba otra cosa.

La rosa,
no buscaba la rosa.
Inmóvil por el cielo
buscaba otra cosa.


La rosa
non cercava l’aurora:
quasi eterna sul ramo,
cercava altra cosa.

La rosa
non cercava né scienza né ombra:
confine di carne e di sogno,
cercava altra cosa.

La rosa,
non cercava la rosa.
Immobile nel cielo
cercava altra cosa.


Federico Garcia Lorca, 1936

sabato 15 dicembre 2007

Che tu sia per me il coltello


3 aprile

Myriam,

tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.

Ti ho vista l’altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato “professoressa”. Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. E’ tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettasi di ricevere delle lettere da me. Insomma, vorrei poterti raccontare di me (ogni tanto) scrivendo. Non che la mia vita sia così interessante (non lo è, e non mi lamento), ma mi piacerebbe darti qualcosa che altrimenti non saprei a chi dare. Intendo qualcosa che non immaginavo si potesse dare a un estraneo. Inutile dire che questo non comporta obblighi da parte tua, non devi far nulla (sono quasi certo che non mi risponderai). Ma se, malgrado tutto, un giorno vorrai farmi sapere che leggi le mie lettere, troverai sulla busta il numero della casella postale che ho affittato questa mattina e che è destinata solo a te.

Se mi devo spiegare, allora è tutto inutile: non sentirti in dovere di rispondere, probabilmente mi sono sbagliato sul tuo conto. Ma se sei tu quella che ho visto stringersi nelle braccia con un cauto sorriso, credo che capirai.

Yair W.


Così inizia uno dei libri più belli che abbia letto in vita mia: “Che tu sia per me il coltello” di David Grossman.

La “quarta di copertina” così recita:

"In un gruppo di persone, un uomo nota una donna sconosciuta che sembra volersi isolare dagli altri. Yair, commosso da quella che egli interpreta come un'impercettibile e ostinata difesa, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto, libero da qualsiasi vincolo. Un mondo privato si crea così fra loro e in questo processo di reciproco avvicinamento Yair e Myriam scoprono l'importanza dell'immaginazione nei rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole. Finché Yair si rende conto che le lettere di quella donna stanno aprendo un varco dentro di lui, chiedendogli con imperiosa delicatezza una inaspettata svolta interiore.."

Sullo scaffale della libreria quel titolo e quelle poche righe mi avevano colpito immediatamente. Leggendolo ci si accorge che si tratta di un libro complesso, che ci spinge ad una profonda riflessione sui rapporti umani e sulla passione. Dopo averlo letto mi è capitato di riprenderlo più volte, rileggerne con attenzione alcuni passi, segnarmi alcuni passaggi (come di solito faccio con i libri di poesie), affinché le sensazioni suscitate dalle parole penetrino a fondo nell'anima.

mercoledì 12 dicembre 2007

Senza titolo


Accade che a volte, vincendo un po’ di naturale resistenza, ma spinti da irresistibile curiosità, solleviamo il coperchio di quello strano baule che avevamo deciso di dimenticare in soffitta. Sapevamo della sua esistenza. Ma non lo avevamo mai preso in considerazione.

Lo facciamo senza un vero perché, per curiosità soprattutto, per fascino dell’ignoto, per spirito di avventura.

Il baule rivela i suoi tesori. Avremmo forse dovuto aspettarcelo, ma la scoperta ci lascia di stucco.

Non ci accorgiamo, dapprincipio, che dopo nulla sarà più come prima.

Improvvisamente cambia la prospettiva. Non ci aspettavamo che un semplice baule potesse contenere così tante ricchezze.

Ora siamo scoperti, deboli, insicuri. Perché abbiamo paura che quei tesori ci sfuggano dalle mani.

Ci ritroviamo così a pentirci di essere stati così avventati, di esserci lanciati in un’avventura più grande di noi, di aver osato entrare in una dimensione che non eravamo in grado di gestire.
Ci interroghiamo: sarà valsa la pena di investire le nostre energie e il nostro coraggio rischiando di soffrire?

Un po’ quello che accade tra gli esseri umani, si schiudono porte che credevamo serrate, ci si ritrova in mondi inesplorati e sconosciuti. Si allargano le braccia per far posto ad un altro…

venerdì 7 dicembre 2007

Il burrone



Burrone. Il fondo.
Raschia la notte.
Ramo. Fronde scosse.

Promesse? – non serve.
Ti stendi? Mi sdraio.
Con me sei diventato giramondo.

Dal rancido di brande
sorbire la notte
a gocce…Tosse. Soffochi. Trangugia

a sazietà! Regolare
è il buio! Regalato –
Dio: al baratro prostrarsi

(Ignoro l’ora.)
Notte: saperla attraverso
le finestre
– saperla un poco. Impara

la notte come i ladri –
la notte come le montagne.
(Ognuna di noi, la notte
è Sinai…)

Non saprai mai cosa brucio, cosa perdo
- muto arresto di cuori! –
sul tuo petto vuoto, tenero, bollente,
mio arrogante caro!

Non saprai mai di quali non-nostre
bufere hai leccato le ferite!
Non montagna, non burrone, muro:
valico dell’anima!

Non sentire! Di dolente delirio
mercurio…Discorso di ruscello…
Fai bene a prendere alla cieca. Le nuvole soltanto
rincorrono lo sghembo acquazzone
.

Ti stendi? Mi stendo. Sto bene. Sto buona.
Come corpi alla guerra: in fila
e in armonia. (Si dice che sul fondo del burrone…
ma forse – del cielo!)

In questa folle corsa di alberi insonni
Qualcuno è calpestato a morte.
Che la tua vittoria è disastro di legioni
Lo sai, giovane Davide?

Marina Cvetaeva, settembre 1923

Ritorno sul tema dell’assenza e sulla mia poetessa preferita. Forse perché in questo periodo avverto sempre più forte un senso di sfaldamento e soffro l’assenza.

In una lettera a Aleksandr Bachrach, giovane letterato russo, Marina Cvetaeva scriveva così di sé stessa: “Io sono più passionale di Voi nella mia vita epistolare: persona di sentimenti, nell’assenza mi trasformo in creatura di passioni, giacché la mia anima è passionale, e l’assenza è il paese dell’Anima.”.

mercoledì 28 novembre 2007

Desire is hunger, is the fire I breathe

E' sempre un piacere scoprire che Michael Stipe, cantante e leader dei REM, va in giro a cantare e a esibirsi qua e là con grandi artisti rock. Stavolta ho trovato su You tube questa bellissima "Because the night" con Bruce Springsteen dal vivo. Trovo che la versione di Michael sia perfetta (io però sono una fan accanita della sua voce e delle sue interpretazioni).
Vale la pena seguire il testo (fu scritta da Bruce Springsteen e la portò alla gloria Patti Smith).

take me now baby here as I am
pull me close, try and understand
desire is hunger is the fire I breathe
love is a banquet on which we feed
come on now try and understand
the way I feel when I'm in your hands
take my hand come undercover
they can't hurt you now,
can't hurt you now, can't hurt you now
because the night belongs to lovers
because the night belongs to lust
because the night belongs to lovers
because the night belongs to us

have I doubt when I'm alone
love is a ring, the telephone
love is an angel disguised as lust
here in our bed until the morning comes
come on now try and understand
the way I feel under your command
take my hand as the sun descends
they can't touch you now,
can't touch you now, can't touch you now
because the night belongs to lovers ...
with love we sleep
with doubt the vicious circle
turn and burns
without you I cannot live
forgive, the yearning burning
I believe it's time, too real to feel
so touch me now, touch me now, touch me now
because the night belongs to lovers ...
because tonight there are two lovers
if we believe in the night we trust
because tonight there are two lovers ...

mercoledì 21 novembre 2007

La panchina di Tatjana




Una riflessione su l'Evgenij Onegin di Aleksandr Puskin, uno dei capolavori assoluti della letteratura russa, e su Marina Cvetaeva, poetessa russa della prima metà del 900, donna dalla vita tormentata e “creatura di passioni”.

Evgenij Onegin è un giovane dandy, egoista, annoiato di tutto e di tutti. L’eredità di uno zio lo porta a San Pietroburgo dove, insieme al poeta idealista Lenskij, frequenta la casa della Signora Larin che vive con le due figlie, Tatjana e Olga. Romantica e malinconica la prima, vivace e allegra la seconda. Lenskij è fidanzato con Olga. Tatjana brucia d’amore per il frivolo Evgenij. Gli scrive una lettera confessandogli il suo amore, lui la rifiuta e la rimprovera con freddezza. Durante una festa da ballo si mette a corteggiare Olga, più per noia che per interesse. Sfidato da Lenskij, lo uccide in duello.
Dopo anni di peregrinazioni, ritorna a San Pietroburgo e ritrova Tatjana sposata ad un generale, e ormai divenuta una donna di gran classe. Se ne innamora perdutamente, si ammala, ne esce quasi pazzo. Scrive a Tatjana una lettera quasi identica a quella che lei gli aveva scritto alcuni anni addietro, ma ora è lei che lo rifiuta con parole fredde, non vuole tradire la fedeltà coniugale. Ma gli confessa di amarlo ancora…

Marina Cvetaeva rimane colpita, ancora bambina, da una rappresentazione del poema puskiniano durante uno spettacolo scolastico.
In una scena tratta dal IV capitolo dell’Onegin, Tatjana e Evgenij sono nel giardino dei Larin, intorno a una panchina, e lì si “mancano” per la prima volta. Marina vede così la scena:

“La panchina su cui loro non sedevano si rivelò decisiva per il mio futuro. Né allora, né dopo, mai mi è piaciuto quando si baciavano, sempre quando si separavano. Mai – quando si sedevano, sempre – quando se ne andavano, ognuno in direzione opposta. La mia prima scena d’amore fu di non amore: lui non l’amava (questo lo capivo) e per questo non si sedette sulla panchina, l’amava lei…; lui parlava, lei taceva; lui non amava, lei amava; lui andò via e lei restò…e se adesso alzassimo il sipario – lei sta lì, sola, o forse è di nuovo seduta…perché stava in piedi solo perché lui stava in piedi e poi si è abbattuta sulla panchina, e così resterà in eterno. Tatjana è eternamente seduta su quella panchina…Da quel momento stesso io non volli essere felice e mi condannai al nonamore…"

Vi lascio questo commento della Cvetaeva così com'è, vi invito a leggere l'Evgenij Onegin se non l'avete ancora fatto, e vi segnalo anche il sito del fotografo inglese Tristan Campbell, da cui è tratta la foto in alto.


mercoledì 7 novembre 2007

Duende



Voglio iniziare a parlare finalmente di flamenco e soprattutto oggi voglio provare a spiegarvi che cosa significa essere flamenco.

Il flamenco rappresenta per me una parte importante del mio essere e della mia vita. Ho iniziato a studiare il baile un po’ per caso sedici anni fa e sono rimasta subito colpita da come si adattasse a ciò che sentivo dentro. E’ stato come uno scandagliare dentro di me.

Perché il flamenco non è un ballo o un canto o una musica. Il flamenco è un modo di essere. Come tale, è un modo di sentirsi e di esprimersi.
L’arte è data dalla forza interpretativa, non dalla bellezza estetica. Ciò che può sembrare brutto, se non addirittura grottesco, nel flamenco è bello.
Questo particolare tipo di espressione viene chiamato duende, essenza dell’estetica flamenca.
Questo termine in italiano non ha una traduzione corrispondente: significa folletto, spirito, demone. E la parola giusta sarebbe proprio “demone”.

Federico Garcia Lorca, nella sua Teoria y juego del cante jondo ha scritto:
“Tutto ciò che ha suoni oscuri ha duende. Questi suoni oscuri sono il mistero, le radici che affondano nel limo che tutti noi conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da dove proviene ciò che è sostanziale nell’arte. Il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare. Ho sentito dire a un vecchio maestro di chitarra: Il duende non sta nella gola; il duende sale interiormente dalla pianta dei piedi. Vale a dire, non è questione di facoltà, bensì di autentico estilo vivo; ovvero di sangue; cioè, di antichissima cultura, di creazione in atto. Per cercare il duende non vi è né mappa né esercizio. Si sa soltanto che brucia il sangue come un topico di vetri, che prosciuga, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili.”

Per definire il duende, Lorca cita il seguente episodio (e leggete con attenzione le parole poetiche che usa per descrivere la scena!):

“Una volta, la cantora andalusa Pastora Pavón (chiamata La Niña de los Peines), cupo genio ispanico, cantava in una tavernetta di Cadice. Giocava con la sua voce d’ombra, con la sua voce di stagno fuso, con la sua voce coperta di muschio, e se la intrecciava nella chioma o la bagnava nella manzanilla o la perdeva in intrichi oscuri e lontanissimi. Ma niente, era inutile, gli ascoltatori stavano zitti. Pastora Pavón finì di cantare nel silenzio.
Solo, e con sarcasmo, un uomo piccolino, di quegli ometti ballerini che escono d’improvviso dalle bottigliette di acquavite, disse a bassa voce: “Viva Parigi!” come a dire: “Qui non ci interessano le capacità, né la tecnica, né la maestria. Ci interessa un’altra cosa!”. Allora la Niña de los Peines si alzò come una folle, conciata come una préfica medievale, trangugiò d’un fiato un gran bicchiere di acquavite come fuoco, e si sedette a cantare senza voce, senza fiato, senza sfumature, con la gola riarsa ma…con duende. Era riuscita a uccidere tutta l’impalcatura della canzone per cedere il passo a un duende furioso e rovente, amico dei venti carichi di sabbia, che induceva gli ascoltatori a stracciarsi le vesti. La Niña de los Peines dovette squarciarsi la voce perché sapeva che gli ascoltatori erano dei raffinati che non chiedevano forme, bensì midollo di forme, musica pura con il corpo leggero per potersi liberare. Dovette privarsi di facoltà e sicurezze; ossia, allontanare la sua musa e abbandonarsi, perché il suo duende venisse e si degnasse di lottare a viva forza. E come cantò! La sua voce non giocava più, la sua voce era un fiotto di sangue degno del suo dolore e della sua sincerità…”.
Il garbo, la grazia, la personalità e il duende sono qualità fondamentali. Il baile flamenco comprende movimenti di piedi (zapateado, punteado, pateo), corpo (torsión, vaivén, convulsión) e braccia (braceos, manos y dedos). E’ stato definito come ballo individuale, basato sulla improvvisazione e la creazione, che esige grande concentrazione e si realizza in uno spazio contenuto.

Il baile non può essere mai considerato separato dal cante e dal toque (la chitarra). Il flamenco è composto da diversi stili (palos) ben differenziati e con alcune regole generali di coreografia. A seconda del loro carattere drammatico, gli stili del baile si possono dividere in jondos (balli strettamente legati alla tradizione gitana e di solito più drammatici, quali soléa e seguiriya), festivos (balli burleschi come alegrías, bulerías, tangos...) o populares (sevillanas, fandangos).

Chiudo con una bella descrizione dell'essere flamenco di Tomás Borrás nella sua Elegía del cantaor:
"Essere flamenco è avere un'altra carne, un'altra anima, altre passioni, un'altra pelle, altri istinti, desideri:
è avere un'altra visione del mondo, con un sentimento grande; il destino nella coscienza, la musica nei nervi, fierezza indipendente, allegria con lacrime; è il dolore, la vita e l'amore che incupiscono; odiare la routine, il metodo che castra; immergersi nel cante, nel vino e nei baci; trasformare la vita in un'arte sottile, capricciosa e libera; senza accettare le catene della mediocrità; giocarsi tutto in una scommessa; assaporarsi, darsi, vivere. Questo."

mercoledì 31 ottobre 2007

This is Halloween



Oggi è Halloween perciò vi propongo questo video tratto dal bel film di Tim Burton "Nightmare before Christmas".

Sfatiamo la credenza che si tratti di una festa americana. In un certo senso per noi si tratta di una festa di "ritorno".

Furono i Celti a diffonderla in Europa intorno al 2300 a.C.. Festeggiavano la fine dell'estate con la festa di Samhain, il loro capodanno.

Per i Celti, che erano un popolo dedito all’agricoltura e alla pastorizia, la ricorrenza che segnava la fine dei raccolti e l’inizio dell’inverno assumeva una rilevanza particolare in quanto la vita cambiava radicalmente: i greggi venivano riportati dai verdi pascoli estivi, e le persone si chiudevano nelle loro case per trascorrere al caldo le lunghe e fredde notti invernali passando il tempo a raccontare storie e a fare lavori di artigianato.

Nella dimensione circolare del tempo, caratteristica della cultura celtica, Samhain si trovava in un punto fuori dalla dimensione temporale, che non apparteneva né all'anno vecchio e neppure al nuovo: in quel momento il velo che divideva dalla terra dei morti si assottigliava ed i vivi potevano accedervi.

I celti non temevano i propri morti e lasciavano per loro del cibo sulla tavola in segno di accoglienza per quanti facessero visita ai vivi.
Oltre a non temere gli spiriti dei defunti, i Celti non credevano nei demoni quanto piuttosto nelle fate e negli elfi, entrambe creature considerate però pericolose: le prime per un supposto risentimento verso gli esseri umani; i secondi per le estreme differenze che intercorrevano appunto rispetto all'uomo. Secondo la leggenda, nella notte di Samhain questi esseri erano soliti fare scherzi anche pericolosi agli uomini e questo ha portato alla nascita e al perpetuarsi di molte altre storie terrificanti.

Non mi sarebbe mai venuto in mente di festeggiare Halloween se non avessi avuto una figlia. Non era nella mia cultura e non apparteneva alla mia infanzia. Per lei, che cresce in questo tempo globalizzato, è diverso. Così stasera avrò a cena le sue amichette travestite da streghe e noi ci intratterremo con i loro genitori.
Il menu comprenderà: bavette alla crema di zucca e salsiccia (un esperimento, vi saprò dire), arrosto di maiale con prugne e mele, formaggi pecorini misti serviti con salse alla frutta, e, per chiudere, biscotti a forma di streghe, gatti, fantasmi, pipistrelli e lapidi, preparati ieri sera insieme prima di andare a letto...E' d'obbligo l'abito nero! In fondo mi diverto da matti anch'io, ed essendo nata proprio in un giorno di fine ottobre alberga in me un animo ombroso e inquieto.
Buona notte delle streghe!

venerdì 19 ottobre 2007

La zuppa del supermercato

Per finire bene la settimana, vi propongo questo video di Ascanio Celestini, a mio parere assolutamente delizioso!

sabato 13 ottobre 2007

Ci siamo!


(Firenze, IV Congresso dei Democratici di Sinistra, 21 aprile 2007)

LA SCATOLA E L’APRISCATOLE


di Marina Sereni - L'Unità

Con le primarie di domenica nasce il Partito Democratico. Dieci anni fa, alla vigilia del Congresso del Pds (ai tempi della Cosa 2), Baricco scrisse su Micromega un pezzo che mi colpì molto e che sono andata a rileggere. Scriveva: «Se penso alla politica - al gesto della politica, così come l’ho studiato sui libri - mi viene da pensare che sia un gesto che ne contiene due. E mi viene in mente la strana storia del cibo in scatola. È andata così: che un giorno, nel 1810, un signore americano ha avuto un’idea geniale, cioè mettere il cibo in una scatola, in tutto uguale a quelle che fanno ancora oggi.

Il tipico barattolo. Ora: la cosa curiosa - assurda ma storicamente documentata - è che passarono 45 anni, e solo dopo che furono passati tutti e 45 arrivò un uomo e quel che fece fu : inventare l'apriscatole. Fa ridere, ma andò proprio così. (le aprivano a sassate, le scatole, prima o a cacciavitate, non so.) Nella sua assurdità, questa storia ha il pregio di rendere visibile la separazione tra due gesti che, sulla carta, tendiamo a sovrapporre: inventare qualcosa e imparare ad usarla, a farla funzionare. Ed è qui che si arriva alla politica. La politica, così come l’ho studiata sui libri, è due gesti in uno: inventare la scatola e realizzare il sistema per aprirla senza ammazzarsi. È immaginare uno scenario che prima non esisteva e simultaneamente renderlo vivibile, funzionante. E' un incrocio acrobatico di utopia e realismo, di fantasia e di buon senso. La politica è una prodezza. La politica, oggi, lavora a costruire apriscatole: ma ha da tempo smesso di inventare scatole. La politica ha perso un pezzo. Oggi è un gesto incompleto: gestisce il reale: ha smesso di inventare il possibile».

Ecco, a distanza di dieci anni da quelle parole, mi vengono in mente due riflessioni. La prima è che quando la politica perde la capacità di “inventare il possibile” pian piano perde anche la capacità di “gestire il reale”.

La seconda è che il Partito Democratico nasce anche per scommettere sulla possibilità di una politica che torni a riunire “scatola e apriscatole”.

Merito, apertura, libertà, eguaglianza, differenze, opportunità, solidarietà, mercato, sostenibilità, sviluppo, buona occupazione, sicurezza, Stato, persona, laicità, nuovo umanesimo, spirito civico, sintesi. Intorno a queste parole in questi mesi si è sviluppato un dibattito ampio che - al di là e oltre qualche asprezza polemica legata alla competizione delle primarie - ha reso visibile un corpo di idee che ci uniscono.

Molto più generico è ancora il profilo del PD dal punto di vista della “forma partito”. Questo sarà a mio parere il terreno più difficile e complesso che dovremo affrontare.

Per parte mia provo ad elencare alcuni spunti di riflessione, partendo ovviamente dalla mia esperienza parziale.

- Credo che il PD debba essere un partito di stampo “europeo”, cioè un partito attivo sempre e non soltanto in occasione delle campagne elettorali, fondato su un'organizzazione permanente e non temporanea. Ciò significa poter contare su una base di aderenti ai quali riconoscere un "potere" in più rispetto al semplice elettore.

- Gli aderenti, gli iscritti al partito non possono organizzarsi soltanto su una dimensione territoriale e su un modello piramidale, dovremo inventare un modello più articolato e flessibile.

- Al tempo stesso il radicamento nel territorio deve restare uno dei punti di forza unendo strumenti vecchi e nuovi. Formazione politica, comunicazione, uso delle ricerche sociali e demoscopiche non sono in contraddizione con il ricostruire legami, tessere una rete di relazioni con la società reale, con le persone in carne ed ossa là dove vivono, lavorano, studiano, soffrono, sono felici. Come si “organizza” questa rete di relazioni?

- Abbiamo già stabilito che il PD sarà un partito nazionale con una forte ispirazione federale. Al Nord, più che altrove, ci dobbiamo misurare con la domanda di modernizzazione e di riforma. Lì, più che altrove, ci dobbiamo misurare con le paure di strati popolari che si sentono messi ai margini e "minacciati" dai mutamenti della globalizzazione. Altrettanto grande sarà la sfida al Sud. Lì, più che altrove, dovremo saper dimostrare ai tanti che non si rassegnano al potere della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta che stiamo lavorando per una politica trasparente.

- Dovremo darci un “Codice di autoregolamentazione” su alcuni punti di particolare sensibilità nel rapporto con l'opinione pubblica: non candidare persone che si siano macchiate di reati contro la Pubblica Amministrazione, introdurre limiti al numero di mandati elettivi che si possono ricoprire ad ogni livello, stabilire che le primarie aperte agli elettori divengano la modalità ordinaria di scelta delle candidature, in particolare per le cariche istituzionali e di partito monocratiche e apicali.

- Il regolamento delle primarie ha fatto una sacrosanta forzatura per avere molte donne elette nelle Assemblee costituente. Avremo poche segretarie regionali donne, dobbiamo lavorare su province e città. Credo poi che le donne dell'Assemblea costituente dovranno incontrarsi tra loro e riflettere sul se - e semmai come - promuovere nel PD anche forme di organizzazioni di sole donne e cosa eventualmente inserire nello Statuto.

- Il punto più delicato che dovremo risolvere riguarda le modalità di regolazione del pluralismo interno. In generale so che un partito pluralista deve darsi delle regole che garantiscano le minoranze e consentano alla maggioranze di guidare il partito con sufficiente forza e incisività. So anche che per me l’unità del partito è un valore, spesso da anteporre a legittime battaglie politiche. Tradurre questi desideri, e magari quelli diversi di altri, in regole non sarà facile. Anche per questo mi pare saggio non far trascorrere troppo tempo tra le primarie e il primo Congresso del Pd.

- Nella fase congressuale di Ds e Dl il tema della collocazione internazionale è stato usato spesso come “arma impropria” nella battaglia politica interna ai partiti. L’obiettivo finale almeno è chiaro: costruire un’organizzazione internazionale che unisca i partiti socialisti a tutte le altre forze progressiste. Il dialogo tra Internazionale Socialista e Democratici americani è aperto ormai da diversi anni. Credo che il Pd possa essere attore di questo processo se, soprattutto in Europa, sapremo portare su questa strada tutti i socialisti. Ecco perché sono convinta che la collocazione transitoria del Pd non possa che essere dentro il Pse e l’Internazionale Socialista perché questo mi sembra l’unico modo per raggiungere l’obiettivo che tutti insieme vogliamo perseguire: una casa nuova per i progressisti, i riformatori, i socialisti e i democratici in Europa e nel mondo.

martedì 9 ottobre 2007

Provare dolore

Come lame affilate maneggiava
quelle sue dolci parole – luminosi bagliori –
che una dopo l’altra ora mettevano a nudo un nervo
ora giocavano impudiche con le ossa –

Perché lei non aveva mai pensato – di ferire –
quella – non è faccenda d’acciaio –
una smorfia volgare della carne –
affare che a stento le creature sopportano –

Provare dolore è questione naturale –
non di buona educazione – il velo sugli occhi –
antica mortale abitudine –
semplicemente si chiudon le porte – per morire

Emily Dickinson

lunedì 1 ottobre 2007

Without you I'm nothing




Visto che abbiamo parlato di passione, ascoltatevi Without you I'm nothing (e già il titolo è tutto un programma) dei Placebo, featuring David Bowie (l'inglese per la sua essenzialità rende meglio molti concetti).
I puristi del rock storcono il naso. Ecco cosa scrive Tommaso Franci su Ondarock:
"Con 20 € a disposizione, probabilmente conviene fare altre cose prima di comprare un cd dei Placebo. Perché costoro, musical-storicamente parlando, altro non sono che uno di quella miriade di complessi, ovvero la totalità tranne gli "alternativi", che dopo la fine speculativa del grunge, ultima specie del genere rock così estintosi, hanno perseverato nel tentativo di arricchirsi e diventare celebri infangando l'onore e la dignità artistica di un'espressione musicale, il rock, oramai inservibile per comunicare significato."
Tutto quello che dice Franci probabilmente è vero, e in effetti non possiedo nessun cd dei Placebo. Però si sa che la musica in ognuno di noi tocca delle corde diverse. Il brano per me ha una carica emotiva notevole. La presenza di David Bowie è essenziale, gli conferisce un'andatura tutta sua particolare e stranamente attenua l'androgino Molko. Lo trovo un brano straziante, e disperato, come disperata è la considerazione di essere niente senza qualcuno.

giovedì 27 settembre 2007

Passione

Notti selvagge – Notti selvagge!
Fossi io con te
notti selvagge sarebbero
la nostra passione.

Inutili – i venti –
a un cuore ormai in porto –
non serve la bussola –
non serve la mappa –

Remare nell’Eden –
Il mare!
Potessi almeno ormeggiare – stanotte –
in te.

Emily Dickinson

lunedì 24 settembre 2007

Arte moderna





A Stoccolma dal 1998 c'è il Moderna Museet, una costruzione leggera e spaziosa ideata da un architetto catalano, che ospita una discreta collezione di arte moderna svedese e internazionale. Subito dopo l'entrata del museo c'è un delizioso piccolo bar, proprio davanti alla biglietteria. C'è una cassa e un bancone dove si paga e si prendono le bevande, e un lunghissimo tavolo rettangolare dove ci si può sedere per rilassarsi dopo la visita o prima, se si arriva già troppo stanchi per intraprenderla.
Anche questo luogo è fatto un pò per perdere tempo: il tavolone invita alla condivisione con gli altri (è quasi inevitabile che ci si sieda accanto o di fronte a qualcuno) e molte lingue vi si parlano intorno. L'arte non contiene anche questo?
Il lungo tavolo è ricoperto dal vetro: i visitatori, nel tempo, hanno infilato sotto il vetro piccoli pezzi di carte, vecchi biglietti, fotografie, ricevute, carte d'imbarco, con sopra scritti brevi messaggi, disegni, caricature, a volte soltanto semplici firme. Anche io e Ginevra non abbiamo saputo resistere e ora delle tracce di noi sono sotto a quel vetro.
Non so perché ma ho trovato affascinante perdere tempo a leggere quei pezzi di carta. Ciascuno di loro racconta una storia di qualcuno che è passato di là.

Lascio ancora una volta dei versi di Emily Dickinson:

L'acqua, la insegna la sete.
La terra - gli oceani trascorsi.
Lo slancio - l'angoscia -
La pace - la raccontano le battaglie -
L'amore, i tumuli della memoria -
Gli uccelli - la neve.
(1859)

martedì 11 settembre 2007

Perdere tempo


I lavori di riassestamento dopo le vacanze prendono più tempo del previsto. La ripresa autunnale è lenta, con ritmo bradipo. Scaricate le foto sul pc, procedo con molta calma alla loro selezione, ostacolata dal gran numero di scatti e dalle mie manie di perfezionismo.
Nel frattempo mi sono rituffata nel lavoro e nella vita quotidiana, in quel tritacarne che macina il mio preziosissimo tempo.
Con gli anni sto imparando a non aver paura di "perdere tempo", ma non è facile. Vedo scorrere le giornate così velocemente che a volte non posso fare a meno di sentirmi in colpa per i momenti di puro ozio. Scopro però sempre di più l'importanza del fermarsi. Fare qualcosa di "minimale" per se stessi ogni giorno. Cose piccole, dall'apparente mancanza di significato. Sedere in salotto vicino alla libreria e prendere a caso un libro, una poesia. Dieci minuti di pausa per ascoltare un brano musicale. Seguire le fasi della luna, guardare le nuvole al tramonto. Può sembrare banale o naif ma non lo è affatto. E' il recuperare la nostra natura.
Lascio qui una poesia di Emily Dickinson. Forse non ha attinenza con quanto ho scritto, ma è un modo per "perdere tempo".

Ebbrezza è il procedere alla volta del mare
di un’anima cresciuta in terraferma,
oltre le case, oltre i promontori –
nell’eterno, profondo –

Potrà il marinaio capire,
come noi cresciuti tra i monti,
l’ubriachezza divina, della prima lega
lontano dalla terraferma?

mercoledì 29 agosto 2007

Lavori in corso

Sono tornata.
Un pò di riassestamento, scaricamento delle foto dalla macchina digitale e relativa scelta delle migliori.
Poi riprenderò il lavoro della scrittura, che mi affascina e mi terrorizza al contempo.

martedì 24 luglio 2007

Stare a mollo



Vado a Budapest. Non parto domani, ma a metà agosto e soggiornerò all'Hotel Gellert. Ho visitato Budapest già lo scorso anno, in giugno (da cui questa foto). Purtroppo non ho potuto godere del viaggio perché appena arrivata mi sono ammalata. Non ho intenzione di mettermi gambe in spalla e girare la città in lungo e in largo. Ho scelto l'Hotel Gellert perché ha i bagni termali e le piscine, e la mia intenzione è quella di stare a mollo.
Ho bisogno di ricarica.
Ne parlo ora perché questo mi aiuta a pensare che tutto sommato ci siamo.
Sono stanca. Segni inequivocabili sono: instabilità umorale (da cui improvvisi crisi di pianto), insonnia (mi sveglio tutte le mattine alle 5 in preda a crisi di calore), sguardo negativo sul mondo intero, pensieri negativi su tutti quelli che mi circondano. Essendo arrivata a questo punto non riesco nemmeno a capire se ho voglia di intraprendere un viaggio.
Prima della partenza passerò una settimana a Roma da sola e senza andare al lavoro. Un pò mi spaventa, un pò mi conforta. Mi servirà per sintonizzarmi sul viaggio, per connettere la mente ad altro che non sia questo ristretto spazio nel quale mi sento in gabbia.
Non andrò soltanto a Budapest ma questo lo scriverò su un altro post.

mercoledì 18 luglio 2007

Passaggio a livello


Sono in un momento di "impasse" del mio blog. Non so cosa farne, non so cosa vorrei che fosse.
Soprattutto non ho tempo per pensarci su, lavoro molto e vivo intensamente quello che mi capita intorno. La testa non è sgombra e l'animo non è sereno per potermi dedicare alla scrittura, anche se di solito è proprio nei momenti di tormento che la produzione letteraria si fa più intensa.
E' come se mi trovassi di fronte ad un passaggio a livello.

giovedì 5 luglio 2007

The outsiders




Stamattina, mentre attraversavo la campagna pontina, mescolata ai pendolari del treno che da Anzio porta a Roma, ascoltavo The outsiders dei REM. Ci sono giorni in cui si è più sensibili di altri, forse dipende dagli ormoni (per noi donne) o dalla pressione atmosferica. Forse dipende dal colore del cielo e dalle condizioni metereologiche. Forse ci sono soggetti che vi sono più esposti. Io certamente devo appartenere a questa categoria e a dire il vero ne vado orgogliosa. Trovo sia un arricchimento e non un impedimento. Comunque, appena arrivata a destinazione, interrogando Youtube, ho trovato questo video.
Michael Stipe sul palco di Dublino celebra i 60 anni di Aung San Suu Kyi e le dedica tre brani, di cui uno è questo. E' un pezzo che veramente adoro e che fa riaffiorare le mie emozioni, perciò ve ne propongo anche il testo. La qualità è un pò "sporca" e in questo caso non gode della presenza del rapper Q-Tip nella parte finale, che è invece presente nell'album. Vi consiglio perciò di ascoltare questa versione solo musicale.


You took me to the restaurant where we first met
You knocked a future shock crowbar upside my head
I got caught with the stop of the tick-tock, tick-tock clock
When you told me what you knew

Lost in the moment
The day that the music stopped

And I do remember you

Drawing patterns with a cork on the tablecloth
Promising volcanic change of plot
Where will this lead us - I'm scared of the storm
The outsiders are gathering, a new day is born

I tried to tell you I am not afraid
You looked up and saw it all across my face
So am I with you or am I against
I don't think it's that easy - we're lost in regret

Now I'm trying to remember
The feeling when the music stopped
When you told me what you knew

Lost in the moment
The day that the music stopped
And I do remember you

Drawing patterns with a cork on the tablecloth
Promising volcanic change of plot
Where does this leave us - I'm scared of the storm
The outsiders are gathering, a new day is born

Drawing patterns with a cork on the tablecloth
Promising volcanic change of plot
Where does this leave us - I'm scared of the storm
The outsiders are gathering, a new day is born

The outsiders are gathering, a new day is born
The outsiders are gathering

A man walks away when every muscle says to stay
How many yesterdays - they each weigh heavy
Who says what changes may come?
Who says what we call home?
I know you see right through me, my luminescence fades
The dusk provides an antidote, I am not afraid
I've been a million times in my mind
This is really just a technicality, frailty, reality

Uh, it's time to breathe, time to believe
Let it go and run towards the sea
They don't teach that, they don't know what you mean
They don't understand, they don't know what you mean
They don't get it, I wanna scream
I wanna breathe again, I wanna dream
I wanna float a quote from Martin Luther King
I am not afraid
I am not afraid
I am not afraid

I am not afraid
I am not afraid
I am not afraid
I am not afraid



mercoledì 20 giugno 2007

Glamorous nymph with an arrow and bow




Se ancora non avete mai alloggiato al Chelsea Hotel di New York sbrigatevi a farlo. Pare che la famiglia Bard, che finora ha gestito il mitico hotel, sia stata messa da parte dal consiglio di amministrazione, e la gestione dell'hotel sia stata affidata ad un gruppo specializzato nelle ristrutturazioni di alberghi extralusso. Diventerà un hotel irraggiungibile dai comuni mortali (non che ora sia economico, una doppia costa dai 235 dollari in su). Provo sempre una gran rabbia nel sentire che luoghi poetici e particolarmente significativi del mio passato subiscano queste tristi sorti. Sono stata a New York due volte, entrambe prima dell'11 settembre. Il mio occhio fotografico lì ha trovato il suo senso: New York è esattamente ciò che adoro fotografare di più, la geometria, la perfezione delle linee. Dal primo viaggio ho riportato un bel gruppetto di foto, tutte rigorosamente in bianco e nero. All'epoca alcuni amici entusiasti mi convinsero a mettere in piedi una piccola mostra. Mescolai le mie foto con alcuni versi di Majakovskij (che pure fece un viaggio a New York), e per l'inaugurazione ingaggiai un mio amico dalla voce tuonante che, alla maniera dei futuristi russi, declamava versi tra i presenti.

Il Chelsea Hotel mi ha ricordato una stupenda canzone di Bob Dylan, "Sara", che ho spesso cantato nelle notti dei campeggi estivi. Qui trovate una versione live con un bob dylan dal buffo cappello.
Di seguito il testo della canzone e a mio parere bellissimo...


I laid on a dune, I looked at the sky,
When the children were babies and played on the beach.
You came up behind me, I saw you go by,
You were always so close and still within reach.

Sara, Sara,
Whatever made you want to change your mind?
Sara, Sara,
So easy to look at, so hard to define.

I can still see them playin' with their pails in the sand,
They run to the water their buckets to fill.
I can still see the shells fallin' out of their hands
As they follow each other back up the hill.

Sara, Sara,
Sweet virgin angel, sweet love of my life,
Sara, Sara,
Radiant jewel, mystical wife.

Sleepin' in the woods by a fire in the night,
Drinkin' white rum in a Portugal bar,
Them playin' leapfrog and hearin' about Snow White,
You in the marketplace in Savanna-la-Mar.

Sara, Sara,
It's all so clear, I could never forget,
Sara, Sara,
Lovin' you is the one thing I'll never regret.

I can still hear the sounds of those Methodist bells,
I'd taken the cure and had just gotten through,
Stayin' up for days in the Chelsea Hotel,
Writin' "Sad-Eyed Lady of the Lowlands" for you.

Sara, Sara,
Wherever we travel we're never apart.
Sara, oh Sara,
Beautiful lady, so dear to my heart.

How did I meet you? I don't know.
A messenger sent me in a tropical storm.
You were there in the winter, moonlight on the snow
And on Lily Pond Lane when the weather was warm.

Sara, oh Sara,
Scorpio Sphinx in a calico dress,
Sara, Sara,
You must forgive me my unworthiness.

Now the beach is deserted except for some kelp
And a piece of an old ship that lies on the shore.
You always responded when I needed your help,
You gimme a map and a key to your door.

Sara, oh Sara,
Glamorous nymph with an arrow and bow,
Sara, oh Sara,
Don't ever leave me, don't ever go.

sabato 16 giugno 2007


Oggi c'è il Gay Pride. Leggo con gioia che Roma ne è già invasa. Non sono mancate le provocazioni e qualcuno nella notte ha scritto delle frasi orrende sui muri. Pur non essendo gay, ho partecipato volentieri nel passato ad un paio di gay pride romani, in compagnia di una coppia di miei carissimi amici che lo sono, perché penso che i loro diritti sono anche i miei. Diritti di civiltà, libertà, tolleranza.
Il solito Calderoli ha fatto un appello ai partecipanti: "Pentitevi e il buon Dio sacrificherà il vitello grasso". Questo perché, secondo Calderoli, "chi vive una sessualità naturale non ha bisogno di manifestare per il proprio orgoglio, chi invece vive una sessualità contro natura e manifesta il proprio orgoglio facendolo, mette in dubbio la cosa stessa".

Io invece vi propongo la riflessione di Michele Serra di oggi (che farà piacere a eugenio...):

Se oggi potessi essere a Roma andrei al Gay Pride. E non per solidarietà "da esterno" a una categoria in lotta. Ci andrei perché, da cittadino italiano, riconosco nei diritti degli omosessuali i miei stessi diritti, e nell'isolamento politico degli omosessuali il mio stesso isolamento politico. Ci andrei perché la laicità dello Stato e delle sue leggi mi sta a cuore, in questo momento, più di ogni altra cosa, e ogni piazza che si batta per uno Stato laico è anche la mia piazza. Ci andrei, infine e soprattutto, perché, come tantissimi altri, sono preoccupato e oramai quasi angosciato dalle esitazioni, dalla pavidità, dalla confusione che paralizzano, quasi al completo, la classe dirigente della mia parte politica, la sinistra.

Una parte politica incapace di fare proprio, senza se e senza ma, il più fondante, basilare e perfino elementare dei princìpi repubblicani: quello dell'uguaglianza dei diritti. L'uguaglianza degli esseri umani indipendentemente dalle differenze di fede, di credo politico, di orientamento sessuale. Ci andrei perché ho il fondato timore che la nuova casa comune dei democratici, il Pd, nasca mettendo tra parentesi questo principio pur di non scontentare la sua componente clericale (non cattolica: clericale. I cattolici sono tutt'altra cosa).

Ci andrei perché gli elettori potenziali del Pd hanno il dovere di far sapere ai Padri Costituenti del partito, chiunque essi siano, che non sono disposti a votare per una classe dirigente che tentenni o peggio litighi già di fronte al primo mattone. Che è quello della laicità dello Stato. Una piazza San Giovanni popolata solamente da persone omosessuali e transessuali, oggi, sarebbe il segno di una sconfitta. Le varie campagne clericali in atto tendono a far passare l'intera questione delle convivenze, della riforma della legislazione familiare, dei Dico, come una questione di nicchia.

Problemi di una minoranza culturalmente difforme e sessualmente non ortodossa, che non riguardano il placido corso della vita civile di maggioranza, quella della "famiglia tradizionale". Ma è vero il contrario. L'intero assetto (culturale, civile, politico, legislativo) dei diritti individuali e dei diritti di relazione riguarda il complesso della nostra comunità nazionale. La sola pretesa di elevare a Modello una sola etica, una sola mentalità, una sola maniera di stringere vincoli tra persone e davanti alla comunità, basta e avanza a farci capire che in discussione non sono i costumi o il destino di una minoranza. Ma i costumi e il destino di tutti.

Ci andrei perché dover sopportare gli eccessi identitari, il surplus folkloristico e le volgarità imbarazzanti di alcuni dei manifestanti è un ben piccolo prezzo di fronte a quello che le stesse persone hanno dovuto pagare alla discriminazione e al silenzio. E i peccati di orgoglio sono comunque meno dannosi e dolorosi delle umiliazioni e dell'autonegazione. E se la piazza dovesse essere dominata soprattutto da questi siparietti, per la gioia di cameraman e cronisti, la colpa sarebbe soprattutto degli assenti, che non hanno capito che piazza San Giovanni, oggi, è di tutti i cittadini. Se ci sono pregiudizi da mettere da parte, e diffidenze "estetiche" da sopire, oggi è il giorno giusto.
Ci andrei, infine, perché in quella piazza romana, oggi, nessuno chiederà di negare diritti altrui in favore dei propri. Nessuno vorrà promuovere un Modello penalizzando gli altri. Non sarà una piazza che lavora per sottrazione, come quella rispettabile ma sotto sotto minacciosa del Family Day. Sarà una piazza che vuole aggiungere qualcosa senza togliere nulla.

Nessuna "famiglia tradizionale" si è mai sentita censurata o impedita o sminuita dalle scelte differenti di altre persone. Nessun eterosessuale ha potuto misurare, nel suo intimo, la violenza di sentirsi definire "contro natura". Chi si sente minacciato dall'omosessualità non ha ben chiaro il concetto di libertà. Che è perfino qualcosa di più del concetto di laicità.

lunedì 11 giugno 2007

La pianista


Amo leggere. Mi perdo letteralmente dentro la lettura (suona male ma è così, non so esprimerlo diversamente). Così ieri sera ho finito Il racconto dell'ancella (bellissimo, ve lo consiglio vivamente!) e ho iniziato "La pianista", della scrittrice austriaca Elfriede Jelinek (ne hanno anche tratto un film con Isabelle Huppert mi pare..). Per il momento mi ha solo trasmesso un senso di fastidio e di angoscia. Qualcuno di voi l'ha già letto (così nel caso mi risparmio di continuare)???

giovedì 7 giugno 2007

La notte


Cala la notte. E' calata la notte. Perché la notte cala, invece di levarsi, come l'alba? Eppure se si guarda verso est, all'ora del tramonto, si può vedere la notte levarsi, non calare; il buio sale verso il cielo, all'orizzonte, come un sole nero dietro la coltre delle nubi, come fumo da un fuoco invisibile, una linea di fuoco proprio sotto l'orizzonte: un bosco o una città in fiamme. Forse la notte cala perché pesante, uno spesso sipario tirato sopra gli occhi. Una coperta di lana. Come vorrei riuscire a vedere meglio nel buio.
(Margaret Atwood, da "Il racconto dell'ancella")

Queste parole le ho lette ieri notte e hanno prodotto in me un'impressione tremenda. Tutte le notti il libro di Margaret Atwood precede il mio sonno. E' un libro bellissimo anche se inquietante, perché il futuro desolante e incerto che ci descrive potrebbe non essere pura fantascienza, ma la plausibile degenerazione di un mondo che sempre più ci sta sfuggendo di mano. Vi consiglio di leggerlo, anche di notte.
Per quanto riguarda la foto, è stata scattata di notte al Cairo, da una barca sul Nilo. Da un errore di esposizione ho cominciato a giocare con le luci. L'esperimento mi è piaciuto, tanto che l'ho ripetuto in altre occasioni.

venerdì 1 giugno 2007

enorme si fece il groppo del cuore


Conoscete il francese.
Dividete.
Moltiplicate.
Declinate a meraviglia.
E allora, su, declinate!
Ma ditemi:
siete capaci
di cantare assieme a una casa?
E il linguaggio dei tram lo capite?
Il pulcino umano
appena esce dal guscio
tende la mano ai libri,
ai quinterni dei quaderni.
Io, invece, imparavo l'alfabeto dalle insegne
sfogliando pagine di ferro e di latta.

(Vladimir Majakovskij, da "Amo", 1922)

martedì 29 maggio 2007

...dormo irrequieto e vivo in un irrequieto sognare



Lisbona, dall'Elevador de Santa Justa. Era il marzo del 2003, stava per scoppiare la guerra in Iraq...

lunedì 28 maggio 2007

...quel filo attorto dalla realtà



Un indice puntato
dalla ruggine del cielo.
Comparve nel luogo convenuto
come il fato.

“Meno un quarto. Ho tardato?”
“La morte non attende.”
Troppo, troppo calcolati
il tono, lo slancio.

Su ogni ciglio una sfida.
Le labbra contratte.
Troppo, troppo profondo
l’inchino, cordiale il saluto.

“Meno un quarto. Puntuale?”
La voce mentiva. Il cuore
sale alla gola: che ha?
Il cervello: è un segnale…

Cielo di brutte notizie, di latta
arrugginita.
Aspettava al solito posto.
L’ora: le sette.

Quel bacio senza rumore:
labbra di sasso –
così si bacia la mano
ai morti, alle signore…

Gente frettolosa.
Gomiti nei fianchi.
Troppo, troppo odiosa
urlò la sirena.

Ululò, guaì come un cane
- stizzita, a lungo. (Troppo:
esagerazione della vita
nell’ora della morte.)

E tutto quanto ieri – alla mia altezza,
di colpo si misura al cielo.
(Esagerato, esagerato, cioè:
in tutta la statura!)

Dentro di me: caro! caro!
“Che ora è?” “Le sette e un minuto.
Al cinema oppure?...”
Come un boato: “A casa!”

(da Poema della fine, Marina Cvetaeva, 1924)

E' la cronaca di una lacerante separazione imposta dalla vita, una delle tante che Marina Cvetaeva dovette sopportare. Marina era una donna passionale ed ebbe una vita difficile e dolorosa.
Leggete attentamente e senza nessuna fretta il primo capitolo di questo appassionante poema. Va assaporato, fatto passare minuziosamente per ogni piccolo meandro del cervello, e soprattutto dell'anima. Riprendetelo dopo alcuni giorni, o dopo mesi, anni. I versi a volte passano lievi, altre si sedimentano e rivelano la loro bellezza soltanto allora. Tutto, ovviamente, dipende dal nostro modo di recepirli.

venerdì 25 maggio 2007

Finistère


Eugenio mi chiede un'immagine che renda la solitudine che sente in questo momento e che niente e nessuno riesce a colmare. Tra i luoghi che ho visitato finora la Bretagna rappresenta senz'altro uno dei più "naturalmente" malinconici. Quando si arriva alla Point du Raz, davanti all'oceano, ci si sente di essere veramente ai confini del mondo conosciuto.
La leggenda narra che proprio al largo di quelle coste, sorgeva la città di Ys.
La città, governata dal re Gradlon e circondata dalle acque, era protetta da un ingegnoso sistema di dighe che impedivano all'oceano di sommergerla.
Gradlon aveva una figlia bellissima, di nome Dahut, che un giorno si innamorò di un bellissimo straniero giunto sull'isola da un paese lontano. Il giovane chiese a Dahut, come pegno d'amore, le chiavi che permettevano di aprire le dighe della città e che solo il re possedeva. La principessa, disubbidendo al padre, consegnò le chiavi al suo innamorato.
Lo straniero, sotto le cui sembianze si nascondeva il demonio, aprì subito le dighe e la splendida città di Ys fu sommersa dalle acque insieme al suo popolo.
Gradlon fuggì portando con sé l'amata figlia. Lungo la strada, però, Dio gli parlò e gli ordinò di gettare in mare la fanciulla, ormai posseduta dal demonio. Il re ubbidì e, raggiunta la costa della Bretagna, fondò la città di Quimper.
Tra le acque impetuose dell'oceano, Dahut si trasformò in una sirena - Marie-Morgane - che da allora seduce con il suo canto i marinai e li trascina con sé sul fondo del mare.

giovedì 24 maggio 2007

mercoledì 23 maggio 2007

La Germania si prepara al G8


Pare che nei giorni scorsi la polizia tedesca abbia prelevato campioni di odori corporei da alcuni contestatori anti G8. I sospetti hanno ricevuto dei tubetti di metallo da stringere per alcuni minuti nelle mani. Le prove olfattive così raccolte, conservate in contenitori di vetro, possono essere utilizzate per addestrare dei cani speciali a riconoscere i manifestanti e, in caso di necessità, a inseguirli.
La notizia ha provocato lo sdegno dei socialdemocratici della Spd e dei Verdi che hanno sottolineato come una simile procedura ricordi i metodi della Stasi. "E' già abbastanza grave - ha spiegato Wolfgang Thierse (Spd), vice presidente del Bundestag (la camera bassa del parlamento) - che debba sopportare, intorno al luogo del vertice, una recinzione metallica di alcuni chilometri, che mi riporta alla mente il muro di Berlino".
Il ministro degli Interni tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha invece difeso il prelievo degli odori corporei: "In precisi casi è un mezzo per identificare dei possibili indiziati".
La procura federale ha precisato che i campioni sono stati presi da cinque o sei sospetti, con l'obiettivo di confrontarli con le tracce ritrovate sui luoghi di alcuni attentati incendiari o sulle lettere di rivendicazione.
Il vertice del G8 si terrà dal 6 all'8 giugno ad Heiligendamm, sulla costa baltica tedesca.

Lasciami qui lasciami stare lasciami così

Visto che oggi sono sul malinconico, vi propongo questo video dei CCCP con la struggente voce salmodiante di Giovanni Lindo Ferretti. Sono fiera di essere riuscita a maneggiare il mezzo e alla fine a postare (si dice così?) il video.

lunedì 21 maggio 2007

Il sogno



Scendo – stordita – senza ringhiere:
scala infinita.
Acido sbirro, il sogno rovista
i miei misteri. Spenti

i vulcani? Freddi i crateri? Ah, non credere
alla morte delle passioni…
Attento carceriere, su e giù per la prigione,
Morfeo misura i cuori. Ehi, voi,

squallore collettivo!
Che non conoscete la rovina
giù dai tetti! Né – sdraiati sui piumini –
le metamorfosi del volo! Un tonfo:

si incrina il guscio della vita
con la zavorra di mariti e mogli.
Vigile aviatore sulla città nemica –
l’anima sorvola il sogno. Il corpo

sbarra invano ogni sua porta:
già canta il sangue nelle vene.
Con precisione da chirurgo il sogno fruga
le mie ferite. A nudo!

Autopsia…E neanche un buco lassù
in galleria, per celare ai miei occhi veggenti…
Confessore immorale, il sogno rimesta
tutti i miei segreti…

(Marina Cvetaeva, 1924)

venerdì 18 maggio 2007

Das Leben der Anderer


Andate a vedere Le vite degli altri dell'esordiente regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck. E' un film bellissimo.
Non voglio raccontarvi la trama e non scriverò una recensione. Non voglio parlare della Stasi e della Germania dell'est, e nemmeno del socialismo. Sono cose alle quali arriverete da soli, o troverete da altre parti. Voglio invece invitarvi a seguire il personaggio del capitano Gerd Wiesler, che l'attore Ulrich Muhe sa interpretare con grande intensità.
Fin dall'inizio e per tutta la durata del film si rimane incollati al suo sguardo. Nei suoi occhi la chiave di lettura del mutamento che minuto dopo minuto segnerà il suo destino. Un terremoto interiore inarrestabile, inellutabile, come una montagna che si sgretola e crolla in piccoli pezzi, minata dal di dentro. Lentamente si fa strada in lui, integerrimo agente della Stasi, uomo dalla staziante solitudine, il tarlo micidiale della passione. La passione, si sa, riesce ad essere esplosiva, scatena energie sepolte nelle nostre anime. E la passione è un concetto vasto, non riduttivo. La passione è rivoluzionaria. Genera cambiamenti profondi, sovverte l'ordine delle cose, ribalta i pezzi della scacchiera. La musica, la lettura, l'arte, l'amore. Per chi l'ha visto: sublime la scena in cui ruba il libro con le poesie di Brecht. Scriveva bene Vladimir Majakovskij, nella sua Lettera al compagno Kostrov da Parigi sulla sostanza dell'amore:

Trattenendo
me stesso,
come a un convegno,
sino all'ultimo bàttito del petto,
tendo l'orecchio:
l'amore riprende a ronzare,
umano,
semplice.
Fuoco,
uragano
ed acqua
s'avanzano con un sordo brontolìo.
Chi
saprebbe
dominarsi?
Potete?
Provateci...

giovedì 17 maggio 2007

Argiope Bruennichi


Vi presento Argiope Bruennichi. E' un ragno bellissimo. Questo l'ho fotografato in Abruzzo, in mezzo a un cespuglio di rovi. La sua particolarità è nella tela, che presenta un particolare disegno a zig-zag, chiamato stabilimentum, disposto in verticale, appena sotto il centro. A cosa serva esattamente non è chiaro agli studiosi: si dice forse per renderla più stabile, oppure per rendere meno visibile il ragno alle sue prede, o ancora per rendere più visibile la tela e impedire in questo modo a uccelli e piccoli mammiferi di distruggerla. Gli accoppiamenti avvengono in agosto: il maschio si avventura nella ragnatela della femmina e, dopo averla fecondata, viste le sue ridotte dimensioni, finisce spesso per diventarne preda. Nel regno animale il maschio spesso è utile soltanto per questioni molto pratiche.

mercoledì 16 maggio 2007

Solleviamo lo sguardo



Cosa deve essere un blog? In questo momento lo vedo come un contenitore, dove uno ogni tanto butta qualcosa, una notizia, un'idea. Non so chi raccolga, la rete ormai è immensa, infinita. Non ci sono limiti. Anche troppo. Si naviga in un mare immenso di parole, senza nemmeno sapere a volte bene cosa si va cercando. E ci si perde.
Oggi butto nel contenitore un consiglio: se abitate a Roma o ci capitate da qui al primo luglio, fate un salto al Complesso del Vittoriano a vedere la mostra di Chagall. Sono raccolte più di 180 opere, provenienti da musei pubblici e collezioni private di tutto il mondo. Sostate a lungo davanti ai suoi dipinti e assaporate l'intensità del suo colore, lo spettacolo fantastico degli innamorati che passeggiano nel cielo, la passione per la sua grande madre patria fatta di contadini, di animali, di tradizioni, di cose semplici.
Non voglio fare una recensione della mostra, non me ne intendo, non mi interessa. Perdete un pò di tempo bighellonando tra le opere, fermatevi dove più vi piace, parlate con i dipinti, seguite le pennellate di colore sulla tela, tuffatevi dentro con tutta l'anima.
Per fortuna ogni tanto ci è dato assentarci dal mondo reale, e dimenticare i nostri affanni quotidiani. Solleviamo lo sguardo.

lunedì 7 maggio 2007

Ripresa del ritmo

Finalmente dopo giorni intensi e affannati si rallentano i ritmi. C'è un pò di tempo per guardarsi intorno, leggere con tranquillità i giornali, rimettere a posto il caos in ufficio creatosi nei lunghi giorni di lavoro frenetico. Tutto ciò che è stato rimandato ora viene ripreso.
Devo dare un taglio diverso a questo blog perché così non funziona. Può essere il momento giusto.

mercoledì 25 aprile 2007

Instabile

Domani parto per Madrid. Le ultime cose da mettere in valigia (che tempo farà?) e ancora molte, troppe cose da fare (lavare i piatti, mettere in ordine la casa, annaffiare le piante...ce la farò?).
E poi: mi sarò ricordata tutto?
Sono reduce da firenze, dall'ultimo (sigh!) congresso dei ds, e da due giorni di caos mentale e fisico per organizzare il prossimo appuntamento, il Comitato Mediterraneo dell'Internazionale Socialista a Napoli il 4 e 5 maggio.
Nel mezzo Madrid ci sta bene. Adoro la Spagna, è uno dei pochi luoghi dove in questo momento ho voglia di andare. Voglio un luogo familiare, dove mi riconosco e dove mi riconoscono. Perché mi sento triste.
In questi giorni l'emozione più grande è la malinconia. Per me che vivo ormai da parecchi anni dentro il partito non è facile pensare che qualcosa si stia definitivamente chiudendo. E poi io sono refrattaria al cambiamento, perché io, a differenza di ciò che con calore e potenza ha dichiarato anna finocchiaro, io ho paura. Sull'onda del congresso, dei compagni incontrati, dei ragionamenti fatti insieme, mi ero sentita più tranquilla. Ma ora, non so perché, mi sento sola.
Ho paura che non sia vero tutto quello che mi dicono. Ho paura che non mi stiano raccontando la verità. Ho paura che nel PSE non ci entreremo mai. Ho paura che saremo paralizzati dal compromesso. Ho paura che perderemo tanta gente per strada. Ho paura che saranno in pochi a bussare a questa porta e la scommessa di un partito NUOVO per davvero finirà per dissolversi nelle beghe della politichetta italica. Se dobbiamo proprio sparire dobbiamo sparire per qualcosa di GRANDE.
Intanto vado a Madrid.

domenica 22 aprile 2007

Io non ho paura

"Stavolta non siamo incalzati dalla storia, stavolta proviamo a farla noi la storia. E la facciamo senza guardare indietro. È tempo di legare all'albero una vela e di combinare la rotta alla deriva. Io non ho paura. Sento il peso, enorme certo, della responsabilità. Ma possiamo farlo. Il nostro Paese ha bisogno di una politica migliore. Il Partito democratico dipenderà da noi, potrà esserne il suo migliore interprete. Per essere all'altezza della nostra storia, per essere all'altezza del futuro, per essere utili all'Italia"
Anna Finocchiaro al 4° Congresso dei DS, 21 aprile 2007

domenica 25 marzo 2007

Praga, aprile 2006

animale

ecco che Io non ci sono e non c'è Te
sboccano le lingue screpolate d'umido calore
prensili gli arti e irradia
irradia il cuore
linguaggio gutturale
arcaico uomo animale
ecco che io non si sono e non c'è te
traverso la carne sfioro, attimo eterno,
l'anima
s'infuoca, comincia a vibrare, ingorda
s'abbevera in piacere
di finitezza e dolore
voglio nascere, rinascere
morire e rimorire d'amore
morire d'amore
linguaggio gutturale d'anelito animale
gli occhi, le mani
il vuoto che m'ingloba
il pieno che, fiorendo
mi consola e mi perdona

Io e Te
(P.G.R. D'anime e d'animali)

domenica 11 marzo 2007



Tristan Campbell - Destruction revisited
http://www.tristancampbell.com/default.aspx?lang=en-gb