Burrone. Il fondo.
Raschia la notte.
Ramo. Fronde scosse.
Promesse? – non serve.
Ti stendi? Mi sdraio.
Con me sei diventato giramondo.
Dal rancido di brande
sorbire la notte
a gocce…Tosse. Soffochi. Trangugia
a sazietà! Regolare
è il buio! Regalato –
Dio: al baratro prostrarsi…
(Ignoro l’ora.)
Notte: saperla attraverso
le finestre – saperla un poco. Impara
la notte come i ladri –
la notte come le montagne.
(Ognuna di noi, la notte
è Sinai…)
Non saprai mai cosa brucio, cosa perdo
- muto arresto di cuori! –
sul tuo petto vuoto, tenero, bollente,
mio arrogante caro!
Non saprai mai di quali non-nostre
bufere hai leccato le ferite!
Non montagna, non burrone, muro:
valico dell’anima!
Non sentire! Di dolente delirio
mercurio…Discorso di ruscello…
Fai bene a prendere alla cieca. Le nuvole soltanto
rincorrono lo sghembo acquazzone.
Ti stendi? Mi stendo. Sto bene. Sto buona.
Come corpi alla guerra: in fila
e in armonia. (Si dice che sul fondo del burrone…
ma forse – del cielo!)
In questa folle corsa di alberi insonni
Qualcuno è calpestato a morte.
Che la tua vittoria è disastro di legioni –
Lo sai, giovane Davide?
Marina Cvetaeva, settembre 1923
Ritorno sul tema dell’assenza e sulla mia poetessa preferita. Forse perché in questo periodo avverto sempre più forte un senso di sfaldamento e soffro l’assenza.
Raschia la notte.
Ramo. Fronde scosse.
Promesse? – non serve.
Ti stendi? Mi sdraio.
Con me sei diventato giramondo.
Dal rancido di brande
sorbire la notte
a gocce…Tosse. Soffochi. Trangugia
a sazietà! Regolare
è il buio! Regalato –
Dio: al baratro prostrarsi…
(Ignoro l’ora.)
Notte: saperla attraverso
le finestre – saperla un poco. Impara
la notte come i ladri –
la notte come le montagne.
(Ognuna di noi, la notte
è Sinai…)
Non saprai mai cosa brucio, cosa perdo
- muto arresto di cuori! –
sul tuo petto vuoto, tenero, bollente,
mio arrogante caro!
Non saprai mai di quali non-nostre
bufere hai leccato le ferite!
Non montagna, non burrone, muro:
valico dell’anima!
Non sentire! Di dolente delirio
mercurio…Discorso di ruscello…
Fai bene a prendere alla cieca. Le nuvole soltanto
rincorrono lo sghembo acquazzone.
Ti stendi? Mi stendo. Sto bene. Sto buona.
Come corpi alla guerra: in fila
e in armonia. (Si dice che sul fondo del burrone…
ma forse – del cielo!)
In questa folle corsa di alberi insonni
Qualcuno è calpestato a morte.
Che la tua vittoria è disastro di legioni –
Lo sai, giovane Davide?
Marina Cvetaeva, settembre 1923
Ritorno sul tema dell’assenza e sulla mia poetessa preferita. Forse perché in questo periodo avverto sempre più forte un senso di sfaldamento e soffro l’assenza.
In una lettera a Aleksandr Bachrach, giovane letterato russo, Marina Cvetaeva scriveva così di sé stessa: “Io sono più passionale di Voi nella mia vita epistolare: persona di sentimenti, nell’assenza mi trasformo in creatura di passioni, giacché la mia anima è passionale, e l’assenza è il paese dell’Anima.”.
6 commenti:
Questa poesia arriva dentro, ti prende, la senti. Mi fa pensare a molte cose. E la foto, poi, è perfetta!
Ho provato a leggerla ad alta voce come consigliava oggi Giorgio Albertazzi a Fahrenheit. Effettivamente ha tutto un altro effetto.
eugenio e dioniso,
trovo che le poesie siano, come dire, un fatto personale. Non amo sentirle declamare, mi distrae. Ho bisogno di leggere una poesia più e più volte, dimenticarla, riprenderla, sezionarla nella mia testa. Solo allora le parole veramente entrano dentro. E poi per me le poesie sono strettamente legate ai miei stati d'animo. Hanno bisogno di essere lette nel momento giusto. La poesia arriva dentro e ti coinvolge se sei disposto ad accoglierla.
Anche per me vale quanto scrive Stregazelda...eppure c'è solo uno che ancora oggi mi da i brividi quando sento leggere, anzi inventare, Dino Campana o Leopardi: Carmelo Bene!!!
Mi sono dimenticato di aggiungere: la poesia è molto struggente e bellissima, aldilà dell'intimo. Oltre e dentro.
ubik,
perfettamente d'accordo su Carmelo Bene!!!! L'ho sentito leggere una volta Majakovskij ed era perfetto!
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