mercoledì 10 dicembre 2008
Berlino 2
lunedì 1 dicembre 2008
venerdì 26 settembre 2008
Interruzione per lavori in corso...
domenica 7 settembre 2008
It's a man's world
This is a man's world, this is a man's world
But it wouldn't be nothing, nothing without a woman or a girl
You see, man made the cars to take us over the road
Man made the trains to carry heavy loads
Man made electric light to take us out of the dark
Man made the boat for the water, like Noah made the ark
This is a man's, a man's, a man's world
But it wouldn't be nothing, nothing without a woman or a girl
Man thinks about a little baby girls and a baby boys
Man makes then happy 'cause man makes them toys
And after man has made everything, everything he can
You know that man makes money to buy from other man
This is a man's world
But it wouldn't be nothing, nothing without a woman or a girl
He's lost in wilderness
He's lost in bitterness
***************************************************
E’ un mondo per uomini, questo è un mondo per uomini,
ma un uomo non sarebbe nulla senza una donna o una ragazza
L’uomo ha costruito le automobili per percorrere le strade
Ha costruito i treni per poter trasportare carichi pesanti
L’uomo ha creato la luce elettrica per uscire dal buio
L’uomo ha costruito barche per viaggiare sull’acqua, come Noè ha costruito l’arca
L’uomo pensa alle bambine e ai bambini
L’uomo li rende felici perché costruisce loro dei giocattoli
E dopo che l’uomo ha fatto tutto, tutto quello che può fare
L’uomo ha creato il denaro per poter comprare da un altro uomo
Ma lui è perso nella sua giungla
è perso nella sua amarezza
martedì 2 settembre 2008
Ricomincio da capo
venerdì 20 giugno 2008
Do you wanna be the pillow where I lay my head?
(cliccate qui per ascoltare il brano)
Do you wanna be an angel
Do you wanna be a star
Do you wanna play some magic
On my guitar
Do you wanna be a poet
Do you wanna be my string
You could be anything
Do you wanna be the lover of another undercover
You could even be the man on the moon
Do you wanna be the player
Do you wanna be the string
Let me tell you something
It just don’t mean a thing
You see it really doesn’t matter
When you’re buried in disguise
By the dark glass on your eyes
Though your flesh has crystallized
Still...you turn me on
Do you wanna be the pillow
Where I lay my head
Do you wanna be the feathers
Lying on my bed
Do you wanna be the cover
Of a magazine
Create a scene
Every day a little sadder
A little madder
Someone get me a ladder
Do you wanna be the singer
Do you wanna be the song
Let me tell you something
You just couldn’t be more wrong
You see I really have to tell you
That it all gets so intense
From my experience
It just doesn’t seem to make sense
Still...you turn me on
Vi continuo a propinare della musica, che fa sempre bene.
Ieri, gironzolando su You Tube, mi sono imbattuta, dopo molti anni, negli Emerson Lake & Palmer (quei tre bei giovanottoni della foto sopra). Sono stati, per un certo periodo della mia adolescenza, il mio gruppo preferito ed hanno trascinato con sé molti miei sospiri ed emozioni di allora.
Questo era uno di quei pezzi che mi faceva sentire come se avessi un coltello piantato nel cuore. Mi fa questo effetto ancora oggi.
martedì 10 giugno 2008
Del mondo
E' stato un tempo il mondo giovane e forte,
odorante di sangue fertile,
rigoglioso di lotte, moltitudini,
splendeva pretendeva molto...
Famiglie donne incinte, sfregamenti,
facce gambe pance braccia...
Dimora della carne, riserva di calore,
sapore e familiare odore...
E' cavità di donna che crea il mondo,
veglia sul tempo lo protegge...
Contiene membro d'uomo che s'alza e spinge,
insoddisfatto poi distrugge...
Il nostro mondo è adesso debole e vecchio,
puzza il sangue versato è infetto...
E' stato un tempo il mondo giovane e forte,
odorante di sangue fertile...
Dimora della carne, riserva di calore,
sapore e familiare odore...
Il nostro mondo è adesso debole e vecchio,
puzza il sangue versato è infetto...
Povertà magnanima, mala ventura,
concedi compassione ai figli tuoi...
Glorifichi la vita, e gloria sia,
glorifichi la vita e gloria è...
E' stato un tempo il mondo giovane e forte,
odorante di sangue fertile...
Famiglie donne incinte, sfregamenti,
facce gambe pance braccia...
Riparto. Riparto dai CSI, Del mondo, perché è un brano che in questo periodo per me ha un senso. E con questo indirettamente rispondo a Eugenio e alle sue considerazioni sui due sessi. A Eugenio che mi dice che “ non è che i maschi sono maschilisti, è solo che il loro orizzonte, anzichè a semicerchio come per le donne, è a triangolo. Vedono solo quella figura geometrica e per millenni vi si sono fatti guidare per costruirci intorno la società e i suoi metodi e funzionamenti”. Io però direi più che “costruire”, distruggere.
A volte ho la negativa percezione che gli uomini tendano alla distruzione di trame (non intese come "macchinazioni", bensì - ricami) che noi pazientemente cerchiamo di costruire. Fili che tendiamo per raggiungerli in un dialogo impossibile. Così noi appariamo sempre così contorte, loro sempre maledettamente semplici, concentrati in quella spinta verso la quale anelano, proiettati verso il triangolo.
Le nostre differenze fisiche sono le nostre differenze mentali?
La donna che conserva/preserva (e veglia sul tempo).
L’uomo che spinge e che distrugge.
Sanguino un po’ ogni tanto, ma va bene così.
lunedì 5 maggio 2008
Fragile
Mi sento sbandata e confusa, certo non il massimo per riprendere un blog.
Il fatto è che mi sembrava non avesse più senso tenerne uno se non hai le idee chiare e non sai esattamente in che direzione andare.
Avevo delle idee in testa, argomenti di cui scrivere, ma le parole non riuscivano a tramutarsi in frasi di senso compiuto, le mani inutilmente tappettavano sulla tastiera.
Mani e cervello sconnessi.
Mi sembra sempre un po’ ridicolo usare il blog per raccontare i propri stati d’animo (a chi interessano, a parte agli amici più stretti?), e nemmeno per stanchi esercizi di stile (e poi: quale stile?).
Il fatto è che in tutto questo frangente ho perso un amico, uno con cui condividevo alcune cose che considero fondamentali, la passione per i libri e per la scrittura, il gusto di andare al cinema, il piacere di scambiarsi delle opinioni, alcune serate a chiacchierare a casa sua con lui e la moglie. Un amico timido, che sapeva prendermi in giro con ironia e dolcezza.
Sono giorni che cerco di scrivere un ricordo di lui, ma le parole non escono. Solo la mancanza, la perdita.
Tutto questo mi fa sentire più fragile.
Ecco, l’ho scritto.
venerdì 4 aprile 2008
Per Valeria
Valeria D'Arbela, Odio e morte nella città di cemento
Questo che vedete sopra è un quadro di Valeria D’Arbela.
Valeria era una donna particolare. Ho avuto la fortuna di conoscerla e di frequentare per qualche tempo, con la leggerezza e l'allegria degli incoscienti, la sua casa sempre piena di amici. Era una di quelle donne che tengono le porte aperte. Tutte le porte.
Era nata a Firenze, ma la sua vera città natale era Venezia.
La pittura era la sua passione e fin da piccola si cimenta con gli acquerelli. La sua prima mostra è proprio a Venezia alla galleria del celebre gruppo dell’ARCO nel dicembre del 1945, subito dopo la liberazione. Lei ha solo quindici anni.
Negli anni 50 aderisce al movimento realista, le sue opere hanno un carattere espressionista e raccontano gli “umiliati e offesi”, il mondo del lavoro. Le sue composizioni sono ispirate alle lotte operaie, ai proletari, ai pescatori di Chioggia e Pellestrina, ai braccianti del Delta padano. Ritrae Venezia con l’intrico delle sue calli, dei rii, gli squeri, le barche.
Si trasferisce a Milano nel 1963 dove approfondisce la sua visione artistica della pittura orientata verso un continuo scambio tra fantasia e realtà e si concentra sul concetto di dimensione urbana.
Dal 1970 i temi della città e della donna suggestionano fortemente la sua attività. Cominciano i cicli pittorici dedicati alla “città disumana”, alla donna rappresentata come oggetto di violenza e soggetto di bellezza. Poi è la volta degli echi della contestazione giovanile degli anni 70 che vengono trasformati in rappresentazioni simboliche.
Nel 1977 si trasferisce a Roma, dove apre uno studio galleria.
Qui la natura viene trasfigurata, creando paesaggi fantastici e onirici. E’ il periodo dei luna-park allegorici, eseguiti a china e a olio.
Arrivano poi le grandi tele dei mari e della rivisitazione di Venezia, città che può considerarsi a ragione la sua culla d’arte.
Valeria purtroppo se ne è andata. Troppo presto. Ha lasciato dietro di sé uno strano silenzio in bianco e nero.
Quest’anno Venezia ha ospitato a Cà Pesaro alcune delle sue opere, in particolare quelle relative alla “produzione veneziana”. Se passate di lì vi consiglio di farci un salto, e di farvi catturare nei meandri dei suoi disegni.
La mostra si intitola Alchimie Veneziane e dura fino al 27 aprile.
Ho scelto per il post questo quadro perché per composizione, soggetto e colori è uno di quelli che più mi coinvolge.
Ne proporrò altri nei prossimi post.
mercoledì 19 marzo 2008
Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti
All’amato se stesso dedica queste righe l’autore
Quattro.
Pesanti come un colpo.
“A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio.”
Ma uno
come me
dove potrà ficcarsi?
Dove mi si è apprestata una tana?
S’io fossi
piccolo
come il Grande Oceano,
mi leverei sulla punta dei piedi delle onde,
con l’alta marea carezzando la luna.
Dove trovare un’amata
uguale a me?
Angusto sarebbe il cielo per contenerla!
Oh, s’io fossi povero!
Come un miliardario!
Che cos’è il denaro per l’anima?
Un ladro insaziabile si annida in essa.
All’orda sfrenata dei miei desideri
non basta l’oro di tutte le Californie.
S’io fossi balbuziente
come Dante
o Petrarca!
Accendere l’anima per una sola!
Ordinarle coi versi di struggersi in cenere!
E le parole
e il mio amore
sarebbero un arco di trionfo:
pomposamente,
senza lasciar traccia, vi passerebbero sotto
le amanti di tutti i secoli.
Oh, s’io fossi
silenzioso
come il tuono,
gemerei,
stringendo con un brivido il decrepito eremo della terra.
Se urlerò a squarciagola
con la mia voce immensa,
le comete torceranno le braccia fiammeggianti,
gettandosi a capofitto dalla malinconia.
Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti
se fossi
appannato
come il sole!
Che bisogno ho io
di abbeverare col mio splendore
il grembo dimagrato della terra!
Passerò,
trascinando il mio enorme amore.
In quale notte
delirante,
malaticcia,
da quali Golia fui concepito,
così grande
e così inutile?
Vladimir Majakovskij, 1916
giovedì 13 marzo 2008
Cuore o straccio di tela?
Giù – per lo strapiombo – in
Polvere! Pece. In – pace.
Condire sempre con lacrime di sale
avanzi di amore umano?
Balcone. Tra scrosci salati
catrame amaro di baci.
Sospiro sfrenato dell’odio:
in un verso – riprendere fiato!
E questo, gualcito nella mano,
cos’è: cuore o straccio
di tela? C’è un nome: Giordano
per questi fradici impacchi.
Sì, perché la lotta con l’amore
è selvaggia, spietata. Salto –
dalla fronte di granito: fiato
tirato – nella morte!
30 giugno 1922
Perché tu non mi veda –
in vita – di spinosa invisibile
siepe mi circondo.
Di rovi mi cingo,
in brina – scendo.
Perché tu non mi senta –
in notte – nella senile scienza
del riserbo mi cimento.
In mormorio – mi stringo,
di sussurri mi bendo.
Perché tu troppo non fiorisca
in me – tra libri: tra boscaglie –
vivo – ti affondo.
Di fantasie ti cingo
fantasma – ti sricordo.
25 giugno 1922
Marina Cvetaeva scrive questi versi per un amore finito. Le cronache ci dicono che più che di amori si trattava di passeggere infatuazioni di una donna facile a perdersi dietro un capriccio.
venerdì 29 febbraio 2008
Vengo venenoso
Sin saber no se porque te encuentro ahora
No se porque tu te cruzaste en mi camino
Es un peligro este querer, no es una broma
Que son tus besos lo mejor que he conocido
Sin querer no se porque yo estoy ahora
Abrazado aquí contigo a este destino
Es que tu amor es un peligro no es una broma
Que son tus besos lo mejor que he conocido
Este querer, me esta matando
Este querer es tuyo y mio sin mas
Este querer, me esta matando
No tengo nada y nada tengo
Vengo, vengo, venenoso
Tu me matas yo muero en tus labios rojos
Vengo, vengo venenoso
Tu me matas yo muero en tus labios rojos
Es inútil, dejar de quererte
Yo ya no puedo vivir sin tu amor
Lo que yo quiero es mirarte de frente
Para decirte que todo te lo di
Que no hay amor tan puro y tan sincero
Que no hay manera de hacertelo entender
Porque ya ves, no importa ni el pasado
Si en esta vida hay que saber perder
Vengo, vengo, venenoso
Tu me matas yo muero en tus labios rojos
Vengo, vengo venenoso
Tu me matas yo muero en tus labios rojos
mercoledì 27 febbraio 2008
Inciampa piuttosto che tacere...
Stamattina mi sono svegliata con questa canzone di Ivano Fossati nella testa. Ho trovato su youtube soltanto questo video, che non mi piace affatto ma è l’unico modo per farvela ascoltare.
Bella,
che ci importa del mondo
verremo perdonati te lo dico io
da un bacio sulla bocca un giorno o l'altro.
Ti sembra tutto visto tutto già fatto
tutto quell'avvenire già avvenuto
scritto, corretto e interpretato
da altri meglio che da te.
Bella,
non ho mica vent'anni
ne ho molti di meno
e questo vuol dire (capirai)
responsabilità
perciò…
Volami addosso se questo è un valzer
volami addosso qualunque cosa sia
abbraccia la mia giacca sotto il glicine
e fammi correre
inciampa piuttosto che tacere
e domanda piuttosto che aspettare.
Stancami
e parlami
abbracciami
guarda dietro le mie spalle
poi racconta
e spiegami
tutto questo tempo nuovo
che arriva con te.
Mi vedi pulito pettinato
ho proprio l'aria di un campo rifiorito
e tu sei il genio scaltro della bellezza
che il tempo non sfiora
ah, eccolo il quadro dei due vecchi pazzi
sul ciglio del prato di cicale
con l'orchestra che suona fili d'erba
e fisarmoniche
(ti dico).
Bella,
che ci importa del mondo.
Stancami
e parlami
abbracciami
fruga dentro le mie tasche
poi perdonami
sorridi
guarda questo tempo
che arriva con te
guarda quanto tempo
arriva con te.
giovedì 21 febbraio 2008
La mente ha corridoi
One need not be a Chamber – to be Haunted –
One need not be a House –
The Brain has Corridors – surpassing
Material Place –
Far safer, of a Midnight Meeting
External Ghost
Than it’s interior Confronting –
That Cooler Host.
Far safer, through an Abbey gallop,
The Stones a’chase –
Than Unarmed, one’s a’self encounter –
In lonesome Place –
Ourself behind ourself, concealed –
Should startle most –
Assassin hid in our Apartment
Be Horror’s least.
The Body – borrows a Revolver –
He bolts the Door –
O’erlooking a superior spectre –
Or More –
Perché gli spettri ti possiedano –
non c’è bisogno di essere una stanza –
Non c’è bisogno di essere una casa –
La mente ha corridoi – che vanno oltre
lo spazio materiale –
Assai più sicuro, un incontro a Mezzanotte,
con un fantasma – esterno –
piuttosto che con il suo riscontro interiore –
quell’ospite più freddo.
Assai più sicuro, attraversare al galoppo un’abbazia
rincorsi dalle pietre –
Piuttosto che incontrare, disarmati,
in solitudine – il proprio io.
L’io che si nasconde dietro l’io –
Una scossa ben più terrorizzante –
di un assassino in agguato
nella propria casa.
Il corpo – prende a prestito una rivoltella –
spranga la porta –
senza accorgersi di uno spettro –
più altero – o peggio.
Emily Dickinson, 1863
venerdì 15 febbraio 2008
Mi soledad sin descanso
Romance del Emplazado
Para Emilio Aladrén
¡Mi soledad sin descanso!
Ojos chicos de mi cuerpo
y grandes de mi caballo,
no se cierran por la noche
ni miran al otro lado
donde se aleja tranquilo
un sueño de trece barcos.
Sino que, limpios y duros
escuderos desvelados,
mis ojos miran un norte
de metales y peñascos
donde mi cuerpo sin venas
consulta naipes helados.
*
Los densos bueyes del agua
embisten a los muchachos
que se bañan en las lunas
de sus cuernos ondulados.
y los martillos cantaban
sobre los yunques sonámbulos,
el insomnio del jinete
y el insomnio del caballo.
*
El veinticinco de junio
le dijeron a el Amargo:
Ya puedes cortar, si gustas,
las adelfas de tu patio.
Pinta una cruz en la puerta
y pon tu nombre debajo,
porque cicutas y ortigas
nacerán en tu costado,
y agujas de cal mojada
te morderán los zapatos.
Será de noche, en lo oscuro,
por los montes imantados,
donde los bueyes del agua
beben los juncos soñando.
Pide luces y campanas.
Aprende a cruzar las manos,
y gusta los aires fríos
de metales y peñascos.
Porque dentro de dos meses
yacerás amortajado.
*
Espadón de nebulosa
mueve en el aire Santiago.
Grave silencio, de espalda,
manaba el cielo combado.
*
El veinticinco de junio
abrió sus ojos Amargo,
y el veinticinco de agosto
se tendió para cerrarlos.
Hombres bajaban la calle
para ver al amplazado
que fijaba sobre el muro
su soledad con descanso
Y la sábana implacable,
de duro acento romano,
daba equilibrio a la muerte
con las rectas de sus paños
************************
Solitudine mia senza riposo!
Occhi piccoli del mio corpo
e grandi del mio cavallo
non si chiudono con la notte
né guardano dalla parte
da cui si allontana tranquillo
un sogno di tredici barche.
Ma chiari e duri
vigili scudieri,
i miei occhi mirano un punto
di metalli e di rupi,
dove il mio corpo senza vene
consulta carte gelate.
*
I grandi buoi dell’acqua
investono i ragazzi
che si bagnano nelle lune
delle loro corna arcuate.
E i martelli cantavano
sulle incudini sonnambule
l’insonnia del cavaliere
e l’insonnia del cavallo.
*
Il venticinque di giugno
dissero all’Amargo:
puoi tagliare se vuoi
gli oleandri del tuo cortile.
Dipingi una croce sulla porta
e scrivici sotto il tuo nome,
perché cicute e ortiche
nasceranno dal tuo costato,
e aghi di calce bagnata
ti morderanno le scarpe.
Avverrà al buio, di notte
sui monti calamitati
dove i buoi dell’acqua
bevono giunchi sognando.
Chiedi luci e campane.
Impara a incrociare le mani
e assaggia i venti freddi
di metalli e di rupi
perché tra due mesi
giacerai nel sudario.
*
Grande spada nebulosa
agita in aria Santiago.
Silenzio grave
stillava il cielo curvo.
*
Il venticinque di giugno
aprì gli occhi Amargo
e il venticinque d’agosto
si coricò per chiuderli.
Uomini scendevano la strada
per vedere il convenuto
che fissava sopra il muro
la sua solitudine in riposo.
E il lenzuolo impeccabile,
di duro accento romano,
equilibrava la morte
con le pieghe della sua tela.
Il grande Camaron de la Isla, favoloso cantaor flamenco morto ancora giovane nel 1992, interpreta magistralmente questa struggente lirica di Federico Garcia Lorca, “Romance del emplazado”, tratta dal Romancero gitano (cliccate qui per sentirla, purtroppo su Youtube non c'è nessun video), accompagnato alla chitarra dal grande Tomatito. Il testo della canzone è quello evidenziato in rosso e il titolo è Romance del Amargo. La interpreta su un ritmo di soleá por bulerías, chi mastica un po’ di flamenco sa di cosa sto parlando. Lasciatevi trasportare dalla sua potente voce, sentirete dei brividi percorrere la pelle.
Federico Garcia Lorca scrive il Romancero gitano nel 1928. Si tratta di un’opera composta da 15 liriche più tre romance di carattere storico.
Il personaggio principale è la pena, che non è nostalgia e nemmeno malinconia, ma “lotta dell’intelligenza amorosa con il mistero che la circonda e non la comprende”. Il gitano rappresenta il conflitto della vita: il singolo che cerca di affermare la sua individualità di fronte al mondo, da cui nasce il suo tragico destino.
Il gitano simboleggia il conflitto tra primitivismo e civilizzazione, tra istinto e ragione. Il gitano rappresenta gli impulsi naturali, la spontaneità: è il prototipo dell’uomo libero, in lotta con le forze che rappresentano la coazione e la repressione (la Guardia Civil). Il mondo del gitano è un mondo instabile, di sogno (“juego de luna y arena”, gioco di luna e arena), il mondo del desiderio che si dibatte tra la vita e la morte.
Il gitano finisce per soccombere al suo tragico destino, dal quale non può fuggire.
Amore e morte si intrecciano.
Lorca fa largo uso di simboli nei suoi versi. La luna rappresenta la morte e la pietrificazione; il vento è il simbolo erotico maschile; il pozzo è l’espressione della passione sospesa, senza via d’uscita; il colore verde è il desiderio proibito che conduce alla frustrazione e alla sterilità; la figura del cavallo rappresenta la passione sfrenata che conduce alla morte; lo specchio è il focolare e la vita sedentaria. Rappresentazioni metaforiche dello specchio sono a volte gli occhi, e la luna come grande specchio nel quale si riflette il mondo. Le tredici barche sono segno di malaugurio.
lunedì 11 febbraio 2008
Yes We Can
I Black Eyed Peas hanno montato questo video con altri artisti ispirandosi al discorso di Obama del "Yes, we can". Scusatemi se mi lascio trascinare dall'entusiasmo ma quest'uomo con la sua energia riesce a catalizzare la mia attenzione (e non solo la mia...). Mi piace l'immediatezza del suo linguaggio, la sua forza comunicativa. Il messaggio è chiaro, lineare: ce la possiamo fare. Non so se sia un bluff, non voglio aprire un dibattito politico. Certo, in quest'epoca così povera di entusiasmi è qualcuno a cui ci si vorrebbe volentieri aggrappare.
giovedì 7 febbraio 2008
Had I known that the first was the last
Had I known that the first was the last
I should have kept it longer.
Had I known that the last was the first
I should have drunk it stronger.
Cup, it was your fault,
Lip was not the liar.
No, lip it was yours,
Bliss was most to blame.
Se solo avessi saputo che la prima sarebbe stata
l’ultima, l’avrei gustata più a lungo.
Se solo avessi saputo che l’ultima sarebbe stata
la prima, l’avrei bevuta tutta d’un fiato.
E’ stata tua la colpa, Coppa?
Le mie labbra non mentivano.
No, labbra, fu colpa vostra,
il Godimento, il vero colpevole.
Emily Dickinson
mercoledì 30 gennaio 2008
Come sei bello quando sei eccitato
Come hai gli occhi più neri…così neri:
due nere notti che stanno in agguato
sopra i miei sensi, sopra i miei pensieri.
“Tu mandali a dormire i tuoi pensieri,
devi ascoltare i sensi solamente;
sarà un combattimento di guerrieri:
combatterà il tuo corpo e non la mente…”
Ho paura di te: sei così bello!
Non affogarmi in notti tanto nere
se prima non mi apri nel cervello
la porta che resiste del piacere.
“La porta del piacere…eccola, è qui.”
Quella del tuo, sicuramente, si.
“Chi ti apre il cervello?dimmi, chi?”
Chi lo sa aprire…Piano…sì, così…
Baciami; dammi cento baci, e mille:
cento per ogni bacio che si estingue,
e mille da succhiare le tonsille,
da avere in bocca un’anima e due lingue.
Oh sì, accarezza dolcemente, sfiora,
ma minaccia ogni furia e ogni violenza;
lentamente…non dentro, non ancora…
portami a poco a poco all’incoscienza.
“Maledetta, luttuosa fantasia
che esige un cuore mite e anche feroce…”
Fingi di averlo e levamela via:
io voglio che mi avvolga la tua voce.
Queste sono le prime sette delle Cento quartine della poetessa Patrizia Valduga. Cento quartine che si sviluppano nell’arco di tempo reale di un incontro d’amore tra un uomo e una donna.
I pensieri della donna si alternano alle parole dell’uomo, che nel testo appaiono virgolettate. Mentre il linguaggio della donna è espresso tramite il suo pensiero, quello dell’uomo è la parola esplicita.
Le quartine mettono in evidenza quanta differenza e quanta lontananza ci sia tra il coinvolgimento amoroso di una donna e quello di un uomo. Mentre nella donna anima e corpo si fondono dando vita al linguaggio poetico, il linguaggio dell’uomo, concentrato essenzialmente sul piacere, è ruvido, quasi volgare. Più che un incontro sembra uno scontro, una battaglia senza esclusione di colpi (e forse anche con alcuni colpi bassi...).
L'andatura delle quartine segue il ritmo dell'amplesso amoroso: dall'esplorazione iniziale dei corpi (e della mente) alla liberatoria esplosione del finale.
venerdì 25 gennaio 2008
Conversazione con il compagno Lenin
Stamattina avrei voluto scrivere qualcosa sulla seduta di ieri al Senato e sulla conseguente caduta del governo Prodi. Ci sono altri che, meglio di me, scriveranno le giuste considerazioni (per esempio, Eugenio…).
Io la butto in poesia, e vado al 1929, nell’ex Unione Sovietica. Majakovskij scrive questa “Conversazione con il compagno Lenin”.
In un ammasso di fatti,
in un subbuglio d’avvenimenti
se n’è andato il giorno,
pian piano è annottato.
Nella stanza siamo in due:
io
e Lenin,
in fotografia
sulla parete bianca.
La bocca spalancata
in un teso discorso,
irti
i peli
dei baffi,
nelle rughe della fronte
è serrato
un umano,
un grande pensiero
nella grande fronte.
Probabilmente,
sotto di lui
sfilano a migliaia…
Una selva di bandiere…
una vegetazione di braccia…
Mi levo in piedi,
illuminato di gioia:
vorrei
andare,
acclamare,
fare un rapporto!
“Compagno Lenin,
vi riferisco
non per dovere d’ufficio,
ma con l’anima.
Compagno Lenin,
l’infernale lavoro
sarà
compiuto
e ormai si compie.
Illuminiamo,
rivestiamo il povero
e chi
è stato spogliato,
l’estrazione
aumenta
di minerale e carbone.
Ma insieme a questo,
certamente,
molte,
molte e varie
sono
le assurdità e le canaglie.
Si è stanchi di respingere,
di strappare coi denti.
Molti,
senza di voi,
hanno preso la mano.
Moltissimi
mascalzoni
d’ogni sorta
vanno
in giro
per la nostra terra.
Non hanno
numero
e nome,
un’intera
schiera di tipi
che cresce.
Kulaki e burocrati,
leccapiedi,
settari
e ubriaconi,
incedono
pettoruti,
fieri,
tutti impugnature
ed emblemi.
Certo noi,
tutti
li piegheremo,
ma piegare
tutti
è tremendamente difficile.
Compagno Lenin,
per le fumose fabbriche,
per le terre,
coperte
di neve
e di stoppie,
col vostro
cuore,
compagno,
col nome vostro
pensiamo,
respiriamo,
lottiamo
e viviamo!”
In un ammasso di fatti,
in un subbuglio d’avvenimenti
se n’è andato il giorno,
pian piano è annottato.
Siamo in due nella stanza,
io
e Lenin:
in fotografia
sulla parete bianca.
Vladimir Majakovskij, 1929
martedì 22 gennaio 2008
Me from Myself
Me from Myself – to banish –
Had I Art –
Invincible my Fortress
Unto All Heart –
But since Myself – assault Me –
How have I peace
Except by subjugating
Consciousness?
And since We’re mutual Monarch
How this be
Except by Abdication –
Me – of Me?
Conoscessi l’Arte –
Di bandire – Me da Me Stessa –
Non ci sarebbe Cuore capace
Di espugnare la mia Fortezza –
Ma dal momento che ad assaltare Me Stessa –
Sono Io, come troverò pace
Se non sottomettendo
La Coscienza?
E dal momento che siamo Monarca
L’una dell’altra – che altro fare
Se non Abdicare –
Me – da Me Stessa?
Emily Dickinson, 1862
Trovo questi versi, nella loro semplicità, estremamente potenti. Ve li propongo nella loro versione originale (la traduzione sotto è di Barbara Lanati) perché l’italiano, inevitabilmente, cambia la struttura della frase, mentre è necessario percepire la secchezza dell’inglese.
Consiglio anche a coloro che non hanno molta dimestichezza con l’inglese di fare un piccolo sforzo e provare ad “ascoltare” il suono, senza necessariamente leggere a voce alta, ma leggendo col cuore.
martedì 15 gennaio 2008
Ogni istante di estasi
Ogni istante di estasi
Lo si paga in angoscia
In lancinante, perfetta armonia
Con l’estasi.
Per ogni ora d’amore
Amare miserie per anni –
Pochi centesimi strappati a fatica –
E Scrigni che traboccano Lacrime!
Emily Dickinson, 1859
giovedì 10 gennaio 2008
3 marzo 2007, eclissi di luna
Majakovskij scrive il poema “Di questo” nel 1922. Lui e Lilja Brik hanno deciso di interrompere la loro relazione sentimentale. Il loro amore era scoppiato nel luglio 1915. Lilja è la moglie di Osip Brik: “Quando dissi a Osip che Majakovskij e io ci eravamo innamorati, tutti e tre, d’accordo, decidemmo di non separarci mai l’uno dall’altro” (L. Brik). Non sarà semplice, come si può facilmente immaginare, e la loro storia vivrà momenti di grande turbolenza.
Questo che vi propongo è il brano finale: Majakovskij, ormai morto, chiede al “compagno chimico”, che lavora nel “laboratorio delle resurrezioni umane” di un ipotetico e lontanissimo futuro, di farlo resuscitare.
Ho scelto il finale perché rappresenta un grido straziante di speranza per il futuro, per un modo completamente rivoluzionario di vivere i sentimenti e la famiglia.
L’ho scelto proprio perché invece in questo momento, nel nostro paese, soffiano venti cupi di recessione.
E’ riduttivo citare solo questo finale, il poema è talmente bello e appassionato che merita veramente di essere letto integralmente e, come ho scritto in precedenza, ripreso più volte.
Leggetelo nella traduzione di Ignazio Ambrogio.
Amore
Forse,
forse un giorno
da un viottolo dello zoo
lei,
lei che amava le bestie,
entrerà nel parco,
sorridente,
come nella foto sul tavolo.
E’ tanto bella lei,
certo rinascerà.
Il vostro
trentesimo secolo
sorvolerà
lo sciame di inezie che dilaniano il cuore.
Ci ripaghiamo ormai
dell’amore non vissuto
con le stelle di notti senza fine.
Risuscitami,
non foss’altro perché
da poeta
t’ho atteso,
ripudiando le assurdità d’ogni giorno!
Risuscitami,
anche solo per questo!
Risuscitami:
voglio vivere tutta la mia vita!
Perché non ci sia più l’amore ancella
di matrimoni,
di lascivia
e d’un pezzo di pane.
Maledicendo i letti,
balzando su dal materasso,
si espanda l’amore in tutto l’universo.
Perché il giorno,
che il dolore degrada,
non sia mendicato per amor di Cristo.
Perché tutta la terra
si rivolti
al primo grido:
“Compagno!”.
Perché possa
nella famiglia
d’ora in poi
essere padre almeno l’universo,
essere madre almeno la terra.
mercoledì 2 gennaio 2008
Le tranche settimanali
Madrid, aprile 2007
Per iniziare il nuovo anno vi propongo questa divertente e originale riflessione che si trova nel romanzo “L’uomo dei cerchi azzurri”di Fred Vargas (si tratta di una donna, non fatevi ingannare dal nome, che comunque è uno pseudonimo…).
Mathilde, uno dei personaggi del romanzo, spiega al protagonista, il commissario Adamsberg, la sua particolare teoria delle tranche settimanali…
“La mia idea è che lunedì-martedì-mercoledì formano una tranche di settimana, la tranche 1. Quello che succede nella tranche 1 è molto diverso da quello che succede nella tranche 2 (giovedì-venerdì-sabato)…A ben guardare, ci sono molte più sorprese importanti nella tranche 1, in generale, dico in generale, e più avventatezza e divertimento nella tranche 2. Questione di ritmo. Non c’è mai alternanza, diversamente dai parcheggi per le auto in alcune vie, dove per due settimane puoi lasciare la macchina e per altre due non la puoi più lasciare. Perché? Per far riposare la via? Per tenerla a maggese? Mistero. Comunque sia, con le tranche settimanali non cambia mai. Tranche 1: ti interessi, credi a delle cose, trovi delle robe. Dramma e miracolo antropici. Tranche 2: non trovi un bel niente, impari zero, vita insignificante, e via discorrendo. Nella tranche 2 c’è molto chissà chi con chissà cosa, e bevi parecchio, mentre la tranche 1 è più importante, questo è chiaro. Praticamente, una tranche 2 va liscia di suo, o diciamo che non ha un grande peso. Ma una tranche 1, quando va in vacca come quella di questa settimana, è un bel casino. Poi è anche successo che al caffè come menu c’era spalla di maiale con le lenticchie. A me la spalla di maiale con le lenticchie mi butta giù di morale. Sconforto puro. E questo in piena fine tranche 1. Proprio una sfiga, quella cazzo di spalla di maiale…la domenica è la tranche 3. Solo la giornata fa una tranche intera, per dire come è delicata. La tranche 3 è lo scompiglio. Se metti insieme una spalla di maiale con le lenticchie e una tranche 3, a dire il vero non ti resta che morire.”
Buon anno a tutti!