Oltre il cielo
Su lontani cammini
Attraverserò le porte del buio
Per nuove luci
Nella valle della dimenticanza
Nei campi del fuoco
Ho bevuto il vino della solitudine
Per lunghe stagioni
Racconterò le favole delle nuvole
Per dormire 1000 anni
Griderò la mia nostalgia alle stelle
Per risvegliarmi al loro chiarore
Oh vita seguirò solitaria la tua eco
Per poterne cantare i segreti
E alla fine della terra
Raccoglierò un fiore dimenticato
Dal silenzio delle parole
Dalle spighe di grano
Riprenderà il colore la cenere
Ed i miei occhi torneranno ad amare di nuovo
martedì 27 aprile 2010
La Fenice
giovedì 22 aprile 2010
Sevillanas
La sevillana è un ballo popolare e di festa. Si balla in piazza di solito durante le feste in tutta l’Andalusia, soprattutto durante la “Feria de Abril” a Siviglia, e la ballano proprio tutti, anziani, giovani, bambini, tutti vestiti a festa con gli abiti tradizionali (quello della bailaora ne è un tipico esempio).
Per chi ha pazienza e vuole conoscerne i dettagli (e legge in spagnolo o inglese) rimando a questo link.
Questo brano è tratto da un altro film di Carlos Saura, “Sevillanas”.
Questa sevillana mi ha sempre mosso qualcosa dentro. E’ così “perfetta” e pulita nei movimenti che si direbbe perfino troppo “ordinata” per suscitare emozioni. Eppure il canto, la pulizia del ballo, la grazia degli incroci e dei lievi abbracci, gli scambi di sguardi tra i due ballerini la rendono a mio avviso leggera e sensuale.
martedì 20 aprile 2010
Tu
a cercare il mio ruggito,
la mia corporatura:
hai guardato,
ed hai visto
che sono solo un ragazzo.
Hai preso,
hai tolto il cuore
e così semplicemente
ti sei messa a giocare,
come una bambina a palla.
E tutte,
come davanti a un miracolo:
"Amare uno così?
Ma quello ti si avventa contro!
Sarà una domatrice.
una che viene da un serraglio!"
Io, invece, esulto.
No,
niente giogo!
impazzito di gioia,
saltavo,
come un indiano a nozze, saltavo
tanto mi sentivo allegro,
tanto leggero!
lunedì 19 aprile 2010
Peteneras
Oggi è una giornata strana, iniziata con il sole e un cielo limpidissimo e a metà giornata sfociata in un violento temporale.
Questo mutare del tempo rimescola i sentimenti, li attorciglia e li avviluppa.
Come questa petenera di José Menese tratta dal bellissimo film “Flamenco” di Carlos Saura.
La petenera è uno dei palos del flamenco, cioè una delle varietà tradizionali del canto flamenco e che possono essere classificati secondo vari criteri: secondo il suo compas (la metrica musicale), la sua "jondura" (intraducibile, una specie di anima del flamenco), il carattere serio o di festa, la sua origine geografica.
La petenera si basa su una strofa di quattro versi ottosillabi che si convertono in sei o più per la ripetizione di alcuni versi e con l’aggiunta di un verso che si ripete (“Madre de mi corazón”).
I testi della petenera sono tristi e malinconici, trattano di storie sentimentali tormentate e difficili, e vengono interpretati in modo lento e coinvolgente, nonostante esistano versioni antiche con ritmi più rapidi e temi meno cupi.
Il testo di questa petenera recita così:
Sentenciado estoy a muerte
si me ven hablar contigo
ya pueden los matadores
¡madre de mi corazón!
ya pueden los matadores
a prevenir los cuchillos
Sentenciado estoy a muerte
si me ven hablar contigo
Nel frattempo ha smesso di piovere, forse la petenera esorcizza il maltempo e le tempeste.
martedì 13 aprile 2010
La mirabolante scatola dei sogni
In netto ritardo e in controtendenza con tutti quelli che appena esce un film (soprattutto questo) si precipitano nelle sale (non è mai il mio caso), ieri sono andata a vedere Avatar, spinta più che altro da mia figlia che da una mia reale volontà.
E devo dire che mi è piaciuto, e anche molto.
Rassicurante, perché alla fine poi, anche se conquistata a caro prezzo, arriva la vittoria.
E dal momento che non sono una critica cinematografica, mi affido alle parole di Michele Serra su Repubblica, con il quale concordo in pieno quasi sempre:
“Chi vede nella tecnologia un fattore di disumanizzazione, e teme che la geometrica potenza degli effetti speciali sfratti dallo schermo la semplicità dei sentimenti, vada a vedere Avatar, e ci porti tranquillamente anche i bambini. Se Avatar ha un difetto non è certo la lussuria ottica. È il moralismo da fiaba edificante. Quel moralismo che è una delle nervature fondamentali (e immortali) del cinema americano.
Vincono i buoni (e ci si commuove), e i cattivi in rotta abbandonano la scena in catene. L'estasi spettacolare, le montagne di denaro speso, l'alea di "salto d'epoca" dal punto di vista tecnologico, sono l’involucro rutilante di un buon vecchio film d'avventura a lieto fine.
Più dei nemici della contraffazione tecnologica, saranno dunque i nemici del politicamente corretto ad avere qualcosa (anzi, molto) da rimproverare a James Cameron.
Il film è una specie di sunto trionfante dell'intera vulgata "buonista", come direbbe la destra a corto di sinonimi. L'eroe è un marine paraplegico che per riscattare il suo handicap (o proprio in virtù di quello) saprà dare al suo avatar (che è il suo "doppio" al cubo: un altro sé, e alto quattro metri) l'energia e la prestanza fisica del guerriero vittorioso.
Il male è incarnato dall'avidità del profitto, disposto a schiantare un pianeta, e distruggere una specie aliena, pur di impossessarsi di un minerale prezioso. Il bene ha il volto antico del Buon Selvaggio, il popolo Na'vi che vive in simbiosi con la foresta, adora gli alberi (il Vaticano non gradirà) e nel contatto per niente metafisico con la materia vivente elabora una specie di religione pan-tattile che spinge a toccarsi, intrecciarsi, cavalcare animali, come se ogni organismo vivente fosse parte di una sola grande Rete.
Cosa che conferisce al film, formalmente castissimo, momenti di insolita sensualità.
Siamo a mezzo tra "salvate l’Amazzonia" e il western pro-nativi, quello che proietta sulle tribù americane sgominate la mitologia della Natura Savia, e su noi altri, non senza motivo, il sospetto di essere quelli che stanno segando il ramo sul quale tutti siamo seduti.
Tanto che l'eroe ibrido (mezzo uomo mezzo avatar) che alla fine sceglierà i "selvaggi", come precedente hollywoodiano rimanda al Kevin Kostner di Balla coi lupi, soldato di frontiera che preferisce re-incarnarsi nel "nemico" piuttosto che farsi riassorbire dalla molto sedicente civiltà. Peccato, solo, che il capo dei cattivi, qui in Avatar, sia un generale così fascista, e così stronzo, da rendere fin troppo facile la scelta di campo dell'eroe così come del pubblico.
Né gli effetti speciali né il 3D né, in futuro, l'ologramma che ti riaccompagnerà a casa in macchina dopo il film, riescono a rimediare a questo piccolo grande vizio del cinema popolare americano: dopo trenta secondi hai già capito chi è il buono, chi è il cattivo e chi si innamorerà di chi. E Avatar non fa eccezione. Detto questo, il film è un magnifico polpettone ecologista e anti imperialista, magari un po' frastornante per quelli delle generazioni arcaiche: due ore e tre quarti di 3D, con i visori calati sul naso, mi hanno prodotto una qual certa emicrania, con sussulti di nausea. E la sequenza bellica finale, mezz'ora buona di botti, luminarie, collisioni, inseguimenti, è decisamente troppo play-station per uno che preferisce il calcio Balilla. Ma la trama, per quanto tirata in lungo, alla fine ti conquista, la meraviglia di molte inquadrature lascia incantati e conferma che il cinema è ancora e sempre un'imbattibile scatola dei sogni, le creature della computer graphic sono sode e credibili quanto i giocattoli per un bimbo che li ami, li maneggi, li renda parlanti.
Per giunta, senza bisogno di essere accaniti cinefili, in Avatar ci si può divertire (gioco nel gioco) a trovare rimandi e citazioni di tutte o quasi le più insigni americanate di celluloide, dal suddetto Balla coi lupi a Mission a Apocalypse Now a Guerre stellari a Soldato blu, e gli appassionati di fantascienza riconosceranno negli enormi volatili cavalcati dagli alieni il segno ispiratore del grande Moebius.
Possono scoraggiare (e in parte mi è accaduto) alcuni ostacoli di ordine anagrafico e neurologico. L'ammasso di visioni mirabolanti, paesaggi inediti, bestie mai viste, esperienze oniriche, non lascia tregua, e vista una medusa d'aria non fai in tempo a godertela nei dettagli che appare un'oca-drago, o un camaleonte-trottola, il tutto avvolto da gorghi di luce, abissi vegetali, vertigini prospettiche. Avatar ti seduce a strati, a gragnuole, a bordate, come se ormai la meraviglia si dovesse e si potesse raggiungere solamente per accumulo, per quantità stordenti, e mai per sottrazione, per concentrazione, per intuizione. Il vuoto e il silenzio, la riflessione e l'elaborazione psicologica solo gli unici effetti speciali che mancano in Avatar, ma probabilmente questo è un problema solo per chi non ha i neuroni già impostati per l'iperbole sensoriale nella quale vivono e crescono i nostri figli. Impareranno a difendersi da soli, o forse hanno già imparato.”
lunedì 12 aprile 2010
Sangue di primavera
Sei la vita e la morte.
Sei venuta di marzo
sulla terra nuda
il tuo brivido dura.
Sangue di primavera
anemone o nube
il tuo passo leggero
ha violato la terra.
Ricomincia il dolore.
Il tuo passo leggero
ha riaperto il dolore.
Era fredda la terra
sotto povero cielo,
era immobile e chiusa
in un torpido sogno,
come chi più non soffre.
Anche il gelo era dolce
dentro il cuore profondo.
Tra la vita e la morte
la speranza taceva.
Ora ha una voce e un sangue
ogni cosa che vive.
Ora la terra e il cielo
sono un brivido forte,
la speranza li torce,
li sconvolge il mattino,
li sommerge il tuo passo,
il tuo fiato d'aurora.
Sangue di primavera,
tutta la terra trema
di un antico tremore.
Hai riaperto il dolore.
Sei la vita e la morte.
Sopra la terra nuda
sei passata leggera
come rondine o nube,
e il torrente del cuore
si è ridestato e irrompe
e si specchia nel cielo
e rispecchia le cose
e le cose, nel cielo e nel cuore
soffrono e si contorcono
nell'attesa di te.
È il mattino, è l'aurora,
sangue di primavera,
tu hai violato la terra.
La speranza si torce,
e ti attende ti chiama.
Sei la vita e la morte.
Il tuo passo è leggero.
(Cesare Pavese)
Mi è venuto naturale accostare la poesia di Cesare Pavese a questo meraviglioso e famoso ritratto di Tina Modotti fotografata da Edward Weston nel 1924, che a sua volta si accosta sorprendentemente all’immagine di Modigliani del post precedente.
E’ stato tutto molto casuale, immagini e parole mi sono semplicemente venute incontro. C’è poco da aggiungere, poiché parlano da sole.
Sangue di primavera.
venerdì 9 aprile 2010
Serenata
Por las orillas del río
se está la noche mojando
y en los pechos de Lolita
se mueren de amor los ramos.
Se mueren de amor los ramos.
La noche canta desnuda
sobre los puentes de marzo.
Lolita lava su cuerpo
con agua salobre y nardos.
Se mueren de amor los ramos.
La noche de anís y plata
relumbra por los tejados.
Plata de arroyos y espejos.
Anís de tus muslos blancos.
Se mueren de amor los ramos.
Lungo le rive del fiume
la notte si sta bagnando
e sui seni di Lolita
muoiono d'amore i rami.
Muoiono d'amore i rami.
La notte nuda
canta sui ponti di marzo.
Lolita lava il suo corpo
con acqua salmastra e nardi.
Muoiono d'amore i rami.
Luccica in alto sui tetti
la notte d'argento e d'anice.
Argento di rivi e specchi.
Anice di cosce candide.
Muoiono d'amore i rami.
(Federico Garcia Lorca)
Anche se non conoscete lo spagnolo, fate un piccolo sforzo e cercate di leggerla in lingua originale. Nella traduzione si perde l’estrema sensualità di questi versi. Questa “Serenata”, omaggio a Lope de Vega, è tratta dalla raccolta “Eros con Baston” del 1925.
Siamo in primavera, il lungo e piovoso inverno è alle spalle. Si ha desiderio di rifiorire.
Se mueren de amor los ramos.