lunedì 18 ottobre 2010

mentre lavoro




E' arrivato davvero l'autunno ed è tempo di ricominciare.

We move through miracle days
Spirit moves in mysterious ways
She moves with it
She moves with it
Lift my days, light up my nights

martedì 24 agosto 2010

Dormo irrequieta



Nulla mi lega a nulla.
Voglio cinquanta cose
allo stesso tempo.
Bramo con un'angoscia
di fame di carne
quel che non so cosa sia
definitivamente l'indefinito.
Dormo irrequieto
e vivo in un irrequieto sognare
di chi dorme irrequieto,
mezzo sognando.

Fernando Pessoa

giovedì 29 luglio 2010

Il ritmo mi ottunde



Butto nel contenitore le poesie che leggo in giro e che raccolgo perché altro non so scrivere. Sarà per via dell'estate, o perché si ha bisogno ogni tanto di tacere.
Attraverso le poesie esprimo le emozioni che attraversano il mio animo, in attesa di trovare parole mie.

*******************************

Il ritmo ottunde le mie povere idee
a me piacciono i revivals dei negri,
la loro segreta esuberanza:
se fossi vissuta in Africa,
avrei danzato attorno a un fuoco
dicendo ch’era il mio Dio.
Poiché son nata in Italia,
ballo intorno al tuo corpo
la danza dello stregone
affinché tu risorga
a risanarmi l’anima.
Ma nessuno che mi accompagni
con cembali o trombe dorate;
forse soltanto gli angeli
hanno pietà di un carme solitario.
Ho vergogna delle notti che hanno invaso il piacere,
vergogna di me stessa e paura,
che possa ancora ripetersi
che io diventi acqua
e che tu mi beva dal limbo
della tua luce segreta.
O ruscelletto mio, accorta voragine di sogno,
paradiso tremulo dei miei carmi,
portami alla tua serra,
che io muoia del profumo dei fiori,
irripetibile terra
di un amore ferito.

(Alda Merini)

lunedì 26 luglio 2010

Senza parole





(...) Riottosa a ogni tipo di amore
sei entrato tu a invadere il mio silenzio
e non so dove tu abbia visto le mie carni
per desiderarle tanto.
E non so perché tu abbia avuto il mio corpo
per poi andartene
con il grido dell'ultima morte.
Se mi avessi strappato il cuore
o tolto l'unico arto che mi fa male
o scollato le mie giunture
non avrei sofferto tanto
come quando tu un giorno insperato
mi hai tolto la pelle dell'anima.

(Alda Merini)

giovedì 3 giugno 2010

Parole



Amore semplicissimo che crede alle parole,
poichè non posso fare quello che voglio fare
non ti posso abbracciare né baciare
il mio piacere è nelle mie parole
e quando posso ti parlo d'amore.
Così seduta davanti a un bicchiere
in un posto pieno di persone
se la tua fronte si increspa veloce
io parlo ad alta voce nell'ardore
tu non mi dici fa meno rumore
che ognuno pensi pure quel che vuole
io mi avvicino sciolta di languore
e tu negli occhi hai un tenero velame
io non ti tocco, no, neanche ti sfioro
ma nel tuo corpo mi sembra di nuotare,
e il divano di quel bar salotto
quando ci alziamo sembra un letto sfatto.

(Patrizia Cavalli)

venerdì 14 maggio 2010

Brevi partenze



Mi allontano, parto, distacco.
Un piccolo dolore acuto alla bocca dello stomaco.

*******************************************

Nella immensa città mia, notte,
dalla casa assonnata vado via.
E la gente crede: moglie, figlia
Solo una cosa io mi ricordo: notte.

Il vento di luglio mi spazza il cammino,
da qualche finestra una musica appena.
Vento, è tempo di soffiare fino all’alba,
per le sottili pareti del petto, nel petto.

Un pioppo nero c’è. E, alla finestra, una luce.
Sulla torre campane e, nella mano, un fiore,
e questo passo dietro a nessuno,
e quest’ombra: ma non ci sono io.

Le luci sono fili di dorate collane,
e in bocca il sapore
di una notturna fogliolina.
Liberatemi dai nodi del giorno,
amici, capitelo: mi state sognando.

17 luglio 1916, Mosca

Marina Cvetaeva (da Insonnia)

lunedì 10 maggio 2010

Coprimi grandemente




Coprimi grandemente
scioglimi
e in me resta.

E poi fammi respirare
lenta chiusa
dentro la tua festa.

(Patrizia Cavalli)

martedì 27 aprile 2010

La Fenice


Oltre il cielo
Su lontani cammini
Attraverserò le porte del buio
Per nuove luci

Nella valle della dimenticanza
Nei campi del fuoco
Ho bevuto il vino della solitudine
Per lunghe stagioni

Racconterò le favole delle nuvole
Per dormire 1000 anni
Griderò la mia nostalgia alle stelle
Per risvegliarmi al loro chiarore

Oh vita seguirò solitaria la tua eco
Per poterne cantare i segreti
E alla fine della terra
Raccoglierò un fiore dimenticato
Dal silenzio delle parole
Dalle spighe di grano
Riprenderà il colore la cenere
Ed i miei occhi torneranno ad amare di nuovo

giovedì 22 aprile 2010

Sevillanas

La sevillana è un ballo popolare e di festa. Si balla in piazza di solito durante le feste in tutta l’Andalusia, soprattutto durante la “Feria de Abril” a Siviglia, e la ballano proprio tutti, anziani, giovani, bambini, tutti vestiti a festa con gli abiti tradizionali (quello della bailaora ne è un tipico esempio).
Per chi ha pazienza e vuole conoscerne i dettagli (e legge in spagnolo o inglese) rimando a questo link.
Questo brano è tratto da un altro film di Carlos Saura, “Sevillanas”.
Questa sevillana mi ha sempre mosso qualcosa dentro. E’ così “perfetta” e pulita nei movimenti che si direbbe perfino troppo “ordinata” per suscitare emozioni. Eppure il canto, la pulizia del ballo, la grazia degli incroci e dei lievi abbracci, gli scambi di sguardi tra i due ballerini la rendono a mio avviso leggera e sensuale.

martedì 20 aprile 2010

Tu



Sei venuta
a cercare il mio ruggito,
la mia corporatura:
hai guardato,
ed hai visto
che sono solo un ragazzo.
Hai preso,
hai tolto il cuore
e così semplicemente
ti sei messa a giocare,
come una bambina a palla.
E tutte,
come davanti a un miracolo:
"Amare uno così?
Ma quello ti si avventa contro!
Sarà una domatrice.
una che viene da un serraglio!"
Io, invece, esulto.
No,
niente giogo!
impazzito di gioia,
saltavo,
come un indiano a nozze, saltavo
tanto mi sentivo allegro,
tanto leggero!
(Vladimir Majakovskij)

lunedì 19 aprile 2010

Peteneras


Oggi è una giornata strana, iniziata con il sole e un cielo limpidissimo e a metà giornata sfociata in un violento temporale.
Questo mutare del tempo rimescola i sentimenti, li attorciglia e li avviluppa.
Come questa petenera di José Menese tratta dal bellissimo film “Flamenco” di Carlos Saura.
La petenera è uno dei palos del flamenco, cioè una delle varietà tradizionali del canto flamenco e che possono essere classificati secondo vari criteri: secondo il suo compas (la metrica musicale), la sua "jondura" (intraducibile, una specie di anima del flamenco), il carattere serio o di festa, la sua origine geografica.
La petenera si basa su una strofa di quattro versi ottosillabi che si convertono in sei o più per la ripetizione di alcuni versi e con l’aggiunta di un verso che si ripete (“Madre de mi corazón”).
I testi della petenera sono tristi e malinconici, trattano di storie sentimentali tormentate e difficili, e vengono interpretati in modo lento e coinvolgente, nonostante esistano versioni antiche con ritmi più rapidi e temi meno cupi.
Il testo di questa petenera recita così:

Sentenciado estoy a muerte
si me ven hablar contigo
ya pueden los matadores
¡madre de mi corazón!
ya pueden los matadores
a prevenir los cuchillos
Sentenciado estoy a muerte
si me ven hablar contigo

Nel frattempo ha smesso di piovere, forse la petenera esorcizza il maltempo e le tempeste.

martedì 13 aprile 2010

La mirabolante scatola dei sogni



In netto ritardo e in controtendenza con tutti quelli che appena esce un film (soprattutto questo) si precipitano nelle sale (non è mai il mio caso), ieri sono andata a vedere Avatar, spinta più che altro da mia figlia che da una mia reale volontà.
E devo dire che mi è piaciuto, e anche molto.
La spiegazione è semplice e non c’entrano le tecnologie o i messaggi: è una favola, e nelle favole si sogna. Mi sono immersa dall’inizio alla fine in un sogno semplice, lineare, dove ci sono i buoni e i cattivi, dove si sa fin dall’inizio chi vince e chi perde e chi si innamorerà di chi.
Rassicurante, perché alla fine poi, anche se conquistata a caro prezzo, arriva la vittoria.

E dal momento che non sono una critica cinematografica, mi affido alle parole di Michele Serra su Repubblica, con il quale concordo in pieno quasi sempre:

“Chi vede nella tecnologia un fattore di disumanizzazione, e teme che la geometrica potenza degli effetti speciali sfratti dallo schermo la semplicità dei sentimenti, vada a vedere Avatar, e ci porti tranquillamente anche i bambini. Se Avatar ha un difetto non è certo la lussuria ottica. È il moralismo da fiaba edificante. Quel moralismo che è una delle nervature fondamentali (e immortali) del cinema americano.
Vincono i buoni (e ci si commuove), e i cattivi in rotta abbandonano la scena in catene. L'estasi spettacolare, le montagne di denaro speso, l'alea di "salto d'epoca" dal punto di vista tecnologico, sono l’involucro rutilante di un buon vecchio film d'avventura a lieto fine.
Più dei nemici della contraffazione tecnologica, saranno dunque i nemici del politicamente corretto ad avere qualcosa (anzi, molto) da rimproverare a James Cameron.
Il film è una specie di sunto trionfante dell'intera vulgata "buonista", come direbbe la destra a corto di sinonimi. L'eroe è un marine paraplegico che per riscattare il suo handicap (o proprio in virtù di quello) saprà dare al suo avatar (che è il suo "doppio" al cubo: un altro sé, e alto quattro metri) l'energia e la prestanza fisica del guerriero vittorioso.
Il male è incarnato dall'avidità del profitto, disposto a schiantare un pianeta, e distruggere una specie aliena, pur di impossessarsi di un minerale prezioso. Il bene ha il volto antico del Buon Selvaggio, il popolo Na'vi che vive in simbiosi con la foresta, adora gli alberi (il Vaticano non gradirà) e nel contatto per niente metafisico con la materia vivente elabora una specie di religione pan-tattile che spinge a toccarsi, intrecciarsi, cavalcare animali, come se ogni organismo vivente fosse parte di una sola grande Rete.
Cosa che conferisce al film, formalmente castissimo, momenti di insolita sensualità.
Siamo a mezzo tra "salvate l’Amazzonia" e il western pro-nativi, quello che proietta sulle tribù americane sgominate la mitologia della Natura Savia, e su noi altri, non senza motivo, il sospetto di essere quelli che stanno segando il ramo sul quale tutti siamo seduti.
Tanto che l'eroe ibrido (mezzo uomo mezzo avatar) che alla fine sceglierà i "selvaggi", come precedente hollywoodiano rimanda al Kevin Kostner di Balla coi lupi, soldato di frontiera che preferisce re-incarnarsi nel "nemico" piuttosto che farsi riassorbire dalla molto sedicente civiltà. Peccato, solo, che il capo dei cattivi, qui in Avatar, sia un generale così fascista, e così stronzo, da rendere fin troppo facile la scelta di campo dell'eroe così come del pubblico.
Né gli effetti speciali né il 3D né, in futuro, l'ologramma che ti riaccompagnerà a casa in macchina dopo il film, riescono a rimediare a questo piccolo grande vizio del cinema popolare americano: dopo trenta secondi hai già capito chi è il buono, chi è il cattivo e chi si innamorerà di chi. E Avatar non fa eccezione. Detto questo, il film è un magnifico polpettone ecologista e anti imperialista, magari un po' frastornante per quelli delle generazioni arcaiche: due ore e tre quarti di 3D, con i visori calati sul naso, mi hanno prodotto una qual certa emicrania, con sussulti di nausea. E la sequenza bellica finale, mezz'ora buona di botti, luminarie, collisioni, inseguimenti, è decisamente troppo play-station per uno che preferisce il calcio Balilla. Ma la trama, per quanto tirata in lungo, alla fine ti conquista, la meraviglia di molte inquadrature lascia incantati e conferma che il cinema è ancora e sempre un'imbattibile scatola dei sogni, le creature della computer graphic sono sode e credibili quanto i giocattoli per un bimbo che li ami, li maneggi, li renda parlanti.
Per giunta, senza bisogno di essere accaniti cinefili, in Avatar ci si può divertire (gioco nel gioco) a trovare rimandi e citazioni di tutte o quasi le più insigni americanate di celluloide, dal suddetto Balla coi lupi a Mission a Apocalypse Now a Guerre stellari a Soldato blu, e gli appassionati di fantascienza riconosceranno negli enormi volatili cavalcati dagli alieni il segno ispiratore del grande Moebius.
Possono scoraggiare (e in parte mi è accaduto) alcuni ostacoli di ordine anagrafico e neurologico. L'ammasso di visioni mirabolanti, paesaggi inediti, bestie mai viste, esperienze oniriche, non lascia tregua, e vista una medusa d'aria non fai in tempo a godertela nei dettagli che appare un'oca-drago, o un camaleonte-trottola, il tutto avvolto da gorghi di luce, abissi vegetali, vertigini prospettiche. Avatar ti seduce a strati, a gragnuole, a bordate, come se ormai la meraviglia si dovesse e si potesse raggiungere solamente per accumulo, per quantità stordenti, e mai per sottrazione, per concentrazione, per intuizione. Il vuoto e il silenzio, la riflessione e l'elaborazione psicologica solo gli unici effetti speciali che mancano in Avatar, ma probabilmente questo è un problema solo per chi non ha i neuroni già impostati per l'iperbole sensoriale nella quale vivono e crescono i nostri figli. Impareranno a difendersi da soli, o forse hanno già imparato.”

lunedì 12 aprile 2010

Sangue di primavera



Sei la vita e la morte.
Sei venuta di marzo
sulla terra nuda
il tuo brivido dura.
Sangue di primavera
anemone o nube
il tuo passo leggero
ha violato la terra.
Ricomincia il dolore.

Il tuo passo leggero
ha riaperto il dolore.
Era fredda la terra
sotto povero cielo,
era immobile e chiusa
in un torpido sogno,
come chi più non soffre.
Anche il gelo era dolce
dentro il cuore profondo.
Tra la vita e la morte
la speranza taceva.
Ora ha una voce e un sangue
ogni cosa che vive.
Ora la terra e il cielo
sono un brivido forte,
la speranza li torce,
li sconvolge il mattino,
li sommerge il tuo passo,
il tuo fiato d'aurora.
Sangue di primavera,
tutta la terra trema
di un antico tremore.

Hai riaperto il dolore.
Sei la vita e la morte.
Sopra la terra nuda
sei passata leggera
come rondine o nube,
e il torrente del cuore
si è ridestato e irrompe

e si specchia nel cielo
e rispecchia le cose
e le cose, nel cielo e nel cuore
soffrono e si contorcono
nell'attesa di te.
È il mattino, è l'aurora,
sangue di primavera,
tu hai violato la terra.
La speranza si torce,
e ti attende ti chiama.
Sei la vita e la morte.
Il tuo passo è leggero.

(Cesare Pavese)

Mi è venuto naturale accostare la poesia di Cesare Pavese a questo meraviglioso e famoso ritratto di Tina Modotti fotografata da Edward Weston nel 1924, che a sua volta si accosta sorprendentemente all’immagine di Modigliani del post precedente.
E’ stato tutto molto casuale, immagini e parole mi sono semplicemente venute incontro. C’è poco da aggiungere, poiché parlano da sole.
Sangue di primavera.

venerdì 9 aprile 2010

Serenata



Por las orillas del río
se está la noche mojando
y en los pechos de Lolita
se mueren de amor los ramos.

Se mueren de amor los ramos.

La noche canta desnuda
sobre los puentes de marzo.
Lolita lava su cuerpo
con agua salobre y nardos.

Se mueren de amor los ramos.

La noche de anís y plata
relumbra por los tejados.
Plata de arroyos y espejos.
Anís de tus muslos blancos.

Se mueren de amor los ramos.
******************************

Lungo le rive del fiume
la notte si sta bagnando
e sui seni di Lolita
muoiono d'amore i rami.

Muoiono d'amore i rami.

La notte nuda
canta sui ponti di marzo.
Lolita lava il suo corpo
con acqua salmastra e nardi.

Muoiono d'amore i rami.

Luccica in alto sui tetti
la notte d'argento e d'anice.
Argento di rivi e specchi.
Anice di cosce candide.

Muoiono d'amore i rami.

(Federico Garcia Lorca)

Anche se non conoscete lo spagnolo, fate un piccolo sforzo e cercate di leggerla in lingua originale. Nella traduzione si perde l’estrema sensualità di questi versi. Questa “Serenata”, omaggio a Lope de Vega, è tratta dalla raccolta “Eros con Baston” del 1925.
Siamo in primavera, il lungo e piovoso inverno è alle spalle. Si ha desiderio di rifiorire.
Se mueren de amor los ramos.


mercoledì 17 marzo 2010

ombre bianche...

When I was a young boy I tried to listen
And I wanna feel like that,
Little white shadows blink and miss them
Part of a system, I am

If you ever feel like something's missing
Things you'll never understand,
Little white shadows sparkle and glisten,
Part of a system, a plan

All this noise I'm waking up
All this space I'm taking up
All this sound is breaking up

Ooh oh ooh

Maybe you'll get what you wanted
Maybe you'll stumble upon it
Everything you ever wanted
In a permanent state

Maybe you'll know when you see it
Maybe if you say it you'll mean it
And when you find it you'll keep it
In a permanent state, a permanent state

When I was a young boy I tried to listen,
Don't you wanna feel like that?
You're part of the human race
All of the stars in the outer space,
Part of a system, a plan

All this noise I'm waking up
All this space I'm taking up
I cannot hear you're breaking up

Woaaooh

Maybe you'll get what you wanted
Maybe you'll stumble upon it
Everything you ever wanted
In a permanent state

Maybe you'll know when you see it
Maybe if you say it you'll mean it
And when you find it you'll keep it
In a permanent state, a permanent state

Swimmin' on a sea of faces
The tide of the human races, oh
An answer now is what I need
I see it in the new sun rising and
See it break on your horizon, oh
Come on love, stay with me

domenica 14 marzo 2010

Dream on

As your bony fingers close around me
Long and spindly
Death becomes me
Heaven can you see what I see

Hey you pale and sickly child
You're death and living reconciled
Been walking home a crooked mile

Paying debt to karma
You party for a living
What you take won't kill you
But careful what you're giving

There's no time for hesitating
Pain is ready, pain is waiting
Primed to do it's educating

Unwanted, uninvited kin
It creeps beneath your crawling skin
It lives without it lives within you

Feel the fever coming
You're shaking and twitching
You can scratch all over
But that won't stop you itching

Can you feel a little love
Can you feel a little love

Dream on dream on

Blame it on your karmic curse
Oh shame upon the universe
It knows its lines
It's well rehearsed

It sucked you in, it dragged you down
To where there is no hallowed ground
Where holiness is never found

Paying debt to karma
You party for a living
What you take won't kill you
But careful what you're giving

Can you feel a little love
Can you feel a little love

Dream on dream on

lunedì 22 febbraio 2010

The book of love

Qualche giorno fa è uscito "Scratch my back", l'ultimo album di Peter Gabriel.
Contiene questa "The book of love" dei Magnetic Fields.
La voce di Peter Gabriel rende meravigliosamente l'atmosfera e regala al brano una solennità commovente.


http://www.youtube.com/watch?v=6nZGv8VTBVE


The book of love is long and boring
No one can lift the damn thing
It's full of charts and facts and figures
and instructions for dancing.
But I
I love it when you read to me
And you
You can read me anything
The book of love has music in it
In fact that's where music comes from
Some of it is just transcendental
Some of it is just really dumb
But I
I love it when you sing to me
And you
You can sing me anything
The book of love is long and boring
And written very long ago
It's full of flowers and heart-shaped boxes
And things we're all too young to know
But I
I love it when you give me things
And you
You ought to give me wedding rings
And I
I love it when you give me things
And you
You ought to give me wedding rings
And I
I love it when you give me things
And you
You ought to give me wedding rings
You ought to give me wedding rings

lunedì 8 febbraio 2010

Immobile

Sono finita nell’immobile. Un po’ perché per via di un ginocchio lesionato cammino male e poco volentieri e poi perché il mio lavoro ha subito una “impasse”. Come al solito nel magico mondo della politica le fortune vanno e vengono. Mi pare che in questo momento se ne siano proprio andate.
Come accade ormai da tempo, ci sono degli eventi da attendere. I tasselli sono incastonati tra loro, se non si sistema uno non si possono collocare gli altri. Conosco questo meccanismo da tempo ed è proprio per questo che non ho fiducia in quello che accadrà.
L’immobile è nella mia testa, prima che nel mio fisico.
Prima di finire ad impazzire del tutto, mi devo rimettere a scrivere. In fondo anche scrivere di questo immobilismo può essere “raccontare un’avventura”. Un’avventura immobile.
Ho cambiato ufficio da due giorni.
Mi guardo intorno cercando di prendere le misure. Cerco di ricreare quelle confortanti stampelle che si chiamano "abitudini". Per ora queste riguardano solamente il rito del caffè la mattina e il pranzo. Mi sento spaesata, come stessi camminando sulla luna.
L’assenza di impegni pressanti rende questo soggiorno poco interessante. O almeno così è apparentemente.
Ma poi, è proprio vero che sono immobile?