mercoledì 19 dicembre 2007

La rosa


La rosa
no buscaba la aurora:
casi eterna en su ramo,
buscaba otra cosa.

La rosa,
no buscaba ni ciencia ni sombra:
confín de carne y sueño,
buscaba otra cosa.

La rosa,
no buscaba la rosa.
Inmóvil por el cielo
buscaba otra cosa.


La rosa
non cercava l’aurora:
quasi eterna sul ramo,
cercava altra cosa.

La rosa
non cercava né scienza né ombra:
confine di carne e di sogno,
cercava altra cosa.

La rosa,
non cercava la rosa.
Immobile nel cielo
cercava altra cosa.


Federico Garcia Lorca, 1936

sabato 15 dicembre 2007

Che tu sia per me il coltello


3 aprile

Myriam,

tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.

Ti ho vista l’altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato “professoressa”. Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. E’ tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettasi di ricevere delle lettere da me. Insomma, vorrei poterti raccontare di me (ogni tanto) scrivendo. Non che la mia vita sia così interessante (non lo è, e non mi lamento), ma mi piacerebbe darti qualcosa che altrimenti non saprei a chi dare. Intendo qualcosa che non immaginavo si potesse dare a un estraneo. Inutile dire che questo non comporta obblighi da parte tua, non devi far nulla (sono quasi certo che non mi risponderai). Ma se, malgrado tutto, un giorno vorrai farmi sapere che leggi le mie lettere, troverai sulla busta il numero della casella postale che ho affittato questa mattina e che è destinata solo a te.

Se mi devo spiegare, allora è tutto inutile: non sentirti in dovere di rispondere, probabilmente mi sono sbagliato sul tuo conto. Ma se sei tu quella che ho visto stringersi nelle braccia con un cauto sorriso, credo che capirai.

Yair W.


Così inizia uno dei libri più belli che abbia letto in vita mia: “Che tu sia per me il coltello” di David Grossman.

La “quarta di copertina” così recita:

"In un gruppo di persone, un uomo nota una donna sconosciuta che sembra volersi isolare dagli altri. Yair, commosso da quella che egli interpreta come un'impercettibile e ostinata difesa, le scrive una lettera, proponendole un rapporto profondo, aperto, libero da qualsiasi vincolo. Un mondo privato si crea così fra loro e in questo processo di reciproco avvicinamento Yair e Myriam scoprono l'importanza dell'immaginazione nei rapporti umani e la sensualità che si nasconde nelle parole. Finché Yair si rende conto che le lettere di quella donna stanno aprendo un varco dentro di lui, chiedendogli con imperiosa delicatezza una inaspettata svolta interiore.."

Sullo scaffale della libreria quel titolo e quelle poche righe mi avevano colpito immediatamente. Leggendolo ci si accorge che si tratta di un libro complesso, che ci spinge ad una profonda riflessione sui rapporti umani e sulla passione. Dopo averlo letto mi è capitato di riprenderlo più volte, rileggerne con attenzione alcuni passi, segnarmi alcuni passaggi (come di solito faccio con i libri di poesie), affinché le sensazioni suscitate dalle parole penetrino a fondo nell'anima.

mercoledì 12 dicembre 2007

Senza titolo


Accade che a volte, vincendo un po’ di naturale resistenza, ma spinti da irresistibile curiosità, solleviamo il coperchio di quello strano baule che avevamo deciso di dimenticare in soffitta. Sapevamo della sua esistenza. Ma non lo avevamo mai preso in considerazione.

Lo facciamo senza un vero perché, per curiosità soprattutto, per fascino dell’ignoto, per spirito di avventura.

Il baule rivela i suoi tesori. Avremmo forse dovuto aspettarcelo, ma la scoperta ci lascia di stucco.

Non ci accorgiamo, dapprincipio, che dopo nulla sarà più come prima.

Improvvisamente cambia la prospettiva. Non ci aspettavamo che un semplice baule potesse contenere così tante ricchezze.

Ora siamo scoperti, deboli, insicuri. Perché abbiamo paura che quei tesori ci sfuggano dalle mani.

Ci ritroviamo così a pentirci di essere stati così avventati, di esserci lanciati in un’avventura più grande di noi, di aver osato entrare in una dimensione che non eravamo in grado di gestire.
Ci interroghiamo: sarà valsa la pena di investire le nostre energie e il nostro coraggio rischiando di soffrire?

Un po’ quello che accade tra gli esseri umani, si schiudono porte che credevamo serrate, ci si ritrova in mondi inesplorati e sconosciuti. Si allargano le braccia per far posto ad un altro…

venerdì 7 dicembre 2007

Il burrone



Burrone. Il fondo.
Raschia la notte.
Ramo. Fronde scosse.

Promesse? – non serve.
Ti stendi? Mi sdraio.
Con me sei diventato giramondo.

Dal rancido di brande
sorbire la notte
a gocce…Tosse. Soffochi. Trangugia

a sazietà! Regolare
è il buio! Regalato –
Dio: al baratro prostrarsi

(Ignoro l’ora.)
Notte: saperla attraverso
le finestre
– saperla un poco. Impara

la notte come i ladri –
la notte come le montagne.
(Ognuna di noi, la notte
è Sinai…)

Non saprai mai cosa brucio, cosa perdo
- muto arresto di cuori! –
sul tuo petto vuoto, tenero, bollente,
mio arrogante caro!

Non saprai mai di quali non-nostre
bufere hai leccato le ferite!
Non montagna, non burrone, muro:
valico dell’anima!

Non sentire! Di dolente delirio
mercurio…Discorso di ruscello…
Fai bene a prendere alla cieca. Le nuvole soltanto
rincorrono lo sghembo acquazzone
.

Ti stendi? Mi stendo. Sto bene. Sto buona.
Come corpi alla guerra: in fila
e in armonia. (Si dice che sul fondo del burrone…
ma forse – del cielo!)

In questa folle corsa di alberi insonni
Qualcuno è calpestato a morte.
Che la tua vittoria è disastro di legioni
Lo sai, giovane Davide?

Marina Cvetaeva, settembre 1923

Ritorno sul tema dell’assenza e sulla mia poetessa preferita. Forse perché in questo periodo avverto sempre più forte un senso di sfaldamento e soffro l’assenza.

In una lettera a Aleksandr Bachrach, giovane letterato russo, Marina Cvetaeva scriveva così di sé stessa: “Io sono più passionale di Voi nella mia vita epistolare: persona di sentimenti, nell’assenza mi trasformo in creatura di passioni, giacché la mia anima è passionale, e l’assenza è il paese dell’Anima.”.