mercoledì 30 gennaio 2008

Come sei bello quando sei eccitato



(Auguste Rodin, La Danaïde)

Come sei bello quando sei eccitato!
Come hai gli occhi più neri…così neri:
due nere notti che stanno in agguato
sopra i miei sensi, sopra i miei pensieri.

“Tu mandali a dormire i tuoi pensieri,
devi ascoltare i sensi solamente;
sarà un combattimento di guerrieri:
combatterà il tuo corpo e non la mente…”

Ho paura di te: sei così bello!
Non affogarmi in notti tanto nere
se prima non mi apri nel cervello
la porta che resiste del piacere.

“La porta del piacere…eccola, è qui.”
Quella del tuo, sicuramente, si.
“Chi ti apre il cervello?dimmi, chi?”
Chi lo sa aprire…Piano…sì, così…

Baciami; dammi cento baci, e mille:
cento per ogni bacio che si estingue,
e mille da succhiare le tonsille,
da avere in bocca un’anima e due lingue.

Oh sì, accarezza dolcemente, sfiora,
ma minaccia ogni furia e ogni violenza;
lentamente…non dentro, non ancora…
portami a poco a poco all’incoscienza.

“Maledetta, luttuosa fantasia
che esige un cuore mite e anche feroce…”
Fingi di averlo e levamela via:
io voglio che mi avvolga la tua voce.

Queste sono le prime sette delle Cento quartine della poetessa Patrizia Valduga. Cento quartine che si sviluppano nell’arco di tempo reale di un incontro d’amore tra un uomo e una donna.
I pensieri della donna si alternano alle parole dell’uomo, che nel testo appaiono virgolettate. Mentre il linguaggio della donna è espresso tramite il suo pensiero, quello dell’uomo è la parola esplicita.
Le quartine mettono in evidenza quanta differenza e quanta lontananza ci sia tra il coinvolgimento amoroso di una donna e quello di un uomo. Mentre nella donna anima e corpo si fondono dando vita al linguaggio poetico, il linguaggio dell’uomo, concentrato essenzialmente sul piacere, è ruvido, quasi volgare. Più che un incontro sembra uno scontro, una battaglia senza esclusione di colpi (e forse anche con alcuni colpi bassi...).
L'andatura delle quartine segue il ritmo dell'amplesso amoroso: dall'esplorazione iniziale dei corpi (e della mente) alla liberatoria esplosione del finale.
Fatemi sapere che ne pensate.

venerdì 25 gennaio 2008

Conversazione con il compagno Lenin




Stamattina avrei voluto scrivere qualcosa sulla seduta di ieri al Senato e sulla conseguente caduta del governo Prodi. Ci sono altri che, meglio di me, scriveranno le giuste considerazioni (per esempio, Eugenio…).
Io la butto in poesia, e vado al 1929, nell’ex Unione Sovietica. Majakovskij scrive questa “Conversazione con il compagno Lenin”.

In un ammasso di fatti,
in un subbuglio d’avvenimenti
se n’è andato il giorno,
pian piano è annottato.
Nella stanza siamo in due:
io
e Lenin,
in fotografia
sulla parete bianca.
La bocca spalancata
in un teso discorso,
irti
i peli
dei baffi,
nelle rughe della fronte
è serrato
un umano,
un grande pensiero
nella grande fronte.
Probabilmente,
sotto di lui
sfilano a migliaia
Una selva di bandiere
una vegetazione di braccia
Mi levo in piedi,
illuminato di gioia:
vorrei
andare,
acclamare,
fare un rapporto!
Compagno Lenin,
vi riferisco
non per dovere d’ufficio,
ma con l’anima.
Compagno Lenin,
l’infernale lavoro
sarà
compiuto
e ormai si compie.
Illuminiamo,
rivestiamo il povero
e chi
è stato spogliato,
l’estrazione
aumenta
di minerale e carbone.
Ma insieme a questo,
certamente,
molte,
molte e varie
sono
le assurdità e le canaglie.
Si è stanchi di respingere,
di strappare coi denti.
Molti,
senza di voi,
hanno preso la mano.
Moltissimi
mascalzoni
d’ogni sorta
vanno
in giro
per la nostra terra.
Non hanno
numero
e nome,
un’intera
schiera di tipi
che cresce.
Kulaki e burocrati,
leccapiedi,
settari
e ubriaconi
,
incedono
pettoruti,
fieri,
tutti impugnature
ed emblemi.
Certo noi,
tutti
li piegheremo,
ma piegare
tutti
è tremendamente difficile.
Compagno Lenin,
per le fumose fabbriche,
per le terre,
coperte
di neve
e di stoppie,
col vostro
cuore,
compagno,
col nome vostro
pensiamo,
respiriamo,
lottiamo
e viviamo
!”
In un ammasso di fatti,
in un subbuglio d’avvenimenti
se n’è andato il giorno,
pian piano è annottato.
Siamo in due nella stanza,
io
e Lenin:
in fotografia
sulla parete bianca.

Vladimir Majakovskij, 1929

martedì 22 gennaio 2008

Me from Myself




Me from Myself – to banish
Had I Art –
Invincible my Fortress
Unto All Heart –

But since Myself – assault Me –
How have I peace
Except by subjugating
Consciousness?

And since We’re mutual Monarch
How this be
Except by Abdication
Me – of Me?


Conoscessi l’Arte –
Di bandire – Me da Me Stessa –
Non ci sarebbe Cuore capace
Di espugnare la mia Fortezza –

Ma dal momento che ad assaltare Me Stessa –
Sono Io, come troverò pace
Se non sottomettendo
La Coscienza?

E dal momento che siamo Monarca
L’una dell’altra – che altro fare
Se non Abdicare –
Me – da Me Stessa?

Emily Dickinson, 1862


Trovo questi versi, nella loro semplicità, estremamente potenti. Ve li propongo nella loro versione originale (la traduzione sotto è di Barbara Lanati) perché l’italiano, inevitabilmente, cambia la struttura della frase, mentre è necessario percepire la secchezza dell’inglese.
Consiglio anche a coloro che non hanno molta dimestichezza con l’inglese di fare un piccolo sforzo e provare ad “ascoltare” il suono, senza necessariamente leggere a voce alta, ma leggendo col cuore.

martedì 15 gennaio 2008

Ogni istante di estasi




Scusate. Sarà per la pioggia che cade incessante su Roma, sarà che a volte le circostanze ti impongono un comportamento razionale proprio quando invece sei catturato nella totale irrazionalità, ma stasera ho un momento di tristezza e di malinconia. E trattandosi di sentimenti legati a situazioni purtroppo irrisolvibili, l’unico modo per combatterli è affidarsi ai versi. Così stasera questi versi di Emily Dickinson li faccio miei.

Ogni istante di estasi
Lo si paga in angoscia
In lancinante, perfetta armonia
Con l’estasi.

Per ogni ora d’amore
Amare miserie per anni –
Pochi centesimi strappati a fatica –
E Scrigni che traboccano Lacrime!

Emily Dickinson, 1859

giovedì 10 gennaio 2008


3 marzo 2007, eclissi di luna

Majakovskij scrive il poema “Di questo” nel 1922. Lui e Lilja Brik hanno deciso di interrompere la loro relazione sentimentale. Il loro amore era scoppiato nel luglio 1915. Lilja è la moglie di Osip Brik: “Quando dissi a Osip che Majakovskij e io ci eravamo innamorati, tutti e tre, d’accordo, decidemmo di non separarci mai l’uno dall’altro” (L. Brik). Non sarà semplice, come si può facilmente immaginare, e la loro storia vivrà momenti di grande turbolenza.

Questo che vi propongo è il brano finale: Majakovskij, ormai morto, chiede al “compagno chimico”, che lavora nel “laboratorio delle resurrezioni umane” di un ipotetico e lontanissimo futuro, di farlo resuscitare.

Ho scelto il finale perché rappresenta un grido straziante di speranza per il futuro, per un modo completamente rivoluzionario di vivere i sentimenti e la famiglia.
L’ho scelto proprio perché invece in questo momento, nel nostro paese, soffiano venti cupi di recessione.

E’ riduttivo citare solo questo finale, il poema è talmente bello e appassionato che merita veramente di essere letto integralmente e, come ho scritto in precedenza, ripreso più volte.
Leggetelo nella traduzione di Ignazio Ambrogio.

Amore

Forse,
forse un giorno
da un viottolo dello zoo
lei,
lei che amava le bestie,
entrerà nel parco,
sorridente,
come nella foto sul tavolo.
E’ tanto bella lei,
certo rinascerà.
Il vostro
trentesimo secolo
sorvolerà
lo sciame di inezie che dilaniano il cuore.
Ci ripaghiamo ormai
dell’amore non vissuto
con le stelle di notti senza fine.
Risuscitami,
non foss’altro perché
da poeta
t’ho atteso,
ripudiando le assurdità d’ogni giorno!
Risuscitami,
anche solo per questo!
Risuscitami:
voglio vivere tutta la mia vita!
Perché non ci sia più l’amore ancella
di matrimoni,
di lascivia
e d’un pezzo di pane.
Maledicendo i letti,
balzando su dal materasso,
si espanda l’amore in tutto l’universo.
Perché il giorno,
che il dolore degrada,
non sia mendicato per amor di Cristo.
Perché tutta la terra
si rivolti
al primo grido:
Compagno!”.
Perché possa
nella famiglia
d’ora in poi
essere padre almeno l’universo,
essere madre almeno la terra.


mercoledì 2 gennaio 2008

Le tranche settimanali


Madrid, aprile 2007


Per iniziare il nuovo anno vi propongo questa divertente e originale riflessione che si trova nel romanzo “L’uomo dei cerchi azzurri”di Fred Vargas (si tratta di una donna, non fatevi ingannare dal nome, che comunque è uno pseudonimo…).

Mathilde, uno dei personaggi del romanzo, spiega al protagonista, il commissario Adamsberg, la sua particolare teoria delle tranche settimanali

“La mia idea è che lunedì-martedì-mercoledì formano una tranche di settimana, la tranche 1. Quello che succede nella tranche 1 è molto diverso da quello che succede nella tranche 2 (giovedì-venerdì-sabato)…A ben guardare, ci sono molte più sorprese importanti nella tranche 1, in generale, dico in generale, e più avventatezza e divertimento nella tranche 2. Questione di ritmo. Non c’è mai alternanza, diversamente dai parcheggi per le auto in alcune vie, dove per due settimane puoi lasciare la macchina e per altre due non la puoi più lasciare. Perché? Per far riposare la via? Per tenerla a maggese? Mistero. Comunque sia, con le tranche settimanali non cambia mai. Tranche 1: ti interessi, credi a delle cose, trovi delle robe. Dramma e miracolo antropici. Tranche 2: non trovi un bel niente, impari zero, vita insignificante, e via discorrendo. Nella tranche 2 c’è molto chissà chi con chissà cosa, e bevi parecchio, mentre la tranche 1 è più importante, questo è chiaro. Praticamente, una tranche 2 va liscia di suo, o diciamo che non ha un grande peso. Ma una tranche 1, quando va in vacca come quella di questa settimana, è un bel casino. Poi è anche successo che al caffè come menu c’era spalla di maiale con le lenticchie. A me la spalla di maiale con le lenticchie mi butta giù di morale. Sconforto puro. E questo in piena fine tranche 1. Proprio una sfiga, quella cazzo di spalla di maiale…la domenica è la tranche 3. Solo la giornata fa una tranche intera, per dire come è delicata. La tranche 3 è lo scompiglio. Se metti insieme una spalla di maiale con le lenticchie e una tranche 3, a dire il vero non ti resta che morire.”

Buon anno a tutti!