mercoledì 21 novembre 2007

La panchina di Tatjana




Una riflessione su l'Evgenij Onegin di Aleksandr Puskin, uno dei capolavori assoluti della letteratura russa, e su Marina Cvetaeva, poetessa russa della prima metà del 900, donna dalla vita tormentata e “creatura di passioni”.

Evgenij Onegin è un giovane dandy, egoista, annoiato di tutto e di tutti. L’eredità di uno zio lo porta a San Pietroburgo dove, insieme al poeta idealista Lenskij, frequenta la casa della Signora Larin che vive con le due figlie, Tatjana e Olga. Romantica e malinconica la prima, vivace e allegra la seconda. Lenskij è fidanzato con Olga. Tatjana brucia d’amore per il frivolo Evgenij. Gli scrive una lettera confessandogli il suo amore, lui la rifiuta e la rimprovera con freddezza. Durante una festa da ballo si mette a corteggiare Olga, più per noia che per interesse. Sfidato da Lenskij, lo uccide in duello.
Dopo anni di peregrinazioni, ritorna a San Pietroburgo e ritrova Tatjana sposata ad un generale, e ormai divenuta una donna di gran classe. Se ne innamora perdutamente, si ammala, ne esce quasi pazzo. Scrive a Tatjana una lettera quasi identica a quella che lei gli aveva scritto alcuni anni addietro, ma ora è lei che lo rifiuta con parole fredde, non vuole tradire la fedeltà coniugale. Ma gli confessa di amarlo ancora…

Marina Cvetaeva rimane colpita, ancora bambina, da una rappresentazione del poema puskiniano durante uno spettacolo scolastico.
In una scena tratta dal IV capitolo dell’Onegin, Tatjana e Evgenij sono nel giardino dei Larin, intorno a una panchina, e lì si “mancano” per la prima volta. Marina vede così la scena:

“La panchina su cui loro non sedevano si rivelò decisiva per il mio futuro. Né allora, né dopo, mai mi è piaciuto quando si baciavano, sempre quando si separavano. Mai – quando si sedevano, sempre – quando se ne andavano, ognuno in direzione opposta. La mia prima scena d’amore fu di non amore: lui non l’amava (questo lo capivo) e per questo non si sedette sulla panchina, l’amava lei…; lui parlava, lei taceva; lui non amava, lei amava; lui andò via e lei restò…e se adesso alzassimo il sipario – lei sta lì, sola, o forse è di nuovo seduta…perché stava in piedi solo perché lui stava in piedi e poi si è abbattuta sulla panchina, e così resterà in eterno. Tatjana è eternamente seduta su quella panchina…Da quel momento stesso io non volli essere felice e mi condannai al nonamore…"

Vi lascio questo commento della Cvetaeva così com'è, vi invito a leggere l'Evgenij Onegin se non l'avete ancora fatto, e vi segnalo anche il sito del fotografo inglese Tristan Campbell, da cui è tratta la foto in alto.


8 commenti:

Anonimo ha detto...

Allora: il sito del fotografo l'ho messo in preferiti, perchè mi piacciono molto. Per i russi dopo il corpo a corpo con I Fratelli Karamazov mi prendo una pausa. Marina Cvetaeva è una delle poetesse che preferisco. E Serena Vitale ha scritto un bel libro su Puskin e la sua vita: "il bottone di Puskin"...
Per ora vago tra i boschi di Walden

Stregazelda ha detto...

Mi sono crogiolata per anni nei russi e mi affascinano sempre. Pure tu però non scherzi con walden...Serena Vitale mi piace moltissimo, ed è quella che meglio ha tradotto la Cvetaeva rispetto ad altre traduzioni che mi sono capitate sotto mano. Non ho letto il libro su Puskin, ma lo farò senz'altro, grazie!

Anonimo ha detto...

Grande Stregazelda! Sono pochi quelli che conoscono il grande valore della Vitale: ottima traduttrice dal russo e poi è un pozzo di storie russe legate a quando ci viveva. Ogni tanto si può leggere qualcosa sul domenicale del sole24ore...Comunque complimenti

Anonimo ha detto...

L'indicazione finale del sito di Campbell è stato un colpo al cuore. Ero sicuro che la foto fosse tua: rientra perfettamente nel tuo stile.
Circa la letteratura russa, ti segnalo qualche saggio critico di Cetto La Qualunque.
Per ciò che riguarda, invece, l'Evgenij Onegin e la sua vicenda d'amore con Tatjana, lo sai che proprio a questa si sono ispirati Mattone e Migliacci quanto hanno scritto Il cuore è uno zingaro?

Stregazelda ha detto...

ubik,
grazie per i complimenti. Il fatto è che ho sempre adorato la letteratura russa, tant'è che poi ho studiato anche il russo e ho seguito dei corsi a San Pietroburgo (ma allora si chiamava Leningrado...). Sui poeti russi del Novecento in particolare a volte si fa fatica a reperire saggi critici, raccolte, biografie, perché a volte non vengono ripubblicati. E allora bisogna approfitta delle bancarelle, dei reminders, delle rimanenze nelle piccole librerie...Così facendo ho scoperto autori e critici che non conoscevo, ho imparato ad apprezzare alcune traduzioni anziché altre, e scoperto autori a me sconosciuti.

eugenio,
grazie per il "colpo al cuore" e per credermi capace di tanto. Ho intenzione di riprendere presto a fare uscite fotografiche in bianco e nero con la mia storica reflex analogica, ne sento davvero troppo la mancanza! Il digitale non è nelle mie corde, sono un'inguaribile appassionata del lavoro dell'artigiano...
Immagino che il saggio critico di Cetto La Qualunque possa riassumersi nella sua tipica espressione (che qui non menziono perché sono una signora!).
Quanto al fatto che Mattone e Migliacci si siano ispirati all'Onegin, mi pare un pò eccessivo ma cerco di crederti per l'amicizia che ti porto.

Anonimo ha detto...

Dici che non si sono ispirati? Ma te lo ricordi il testo? E' chiaramente una trasposizione (al ribasso) di quel concetto, rivisitato in chiave sanremese...

Stregazelda ha detto...

eugenio,
ci credo solo se me lo dimostri con prove. Nicola di Bari non mi è mai piaciuto, Nada un pò di più, tendo a essere negativa.

Anonimo ha detto...

In queste cose non ci sono prove, mica parliamo di teoremi matematici o di ricerche scientifiche o in provetta.
E poi Mattone e Migliacci sono testimonianza vivente di ciò che ho scritto...