mercoledì 7 novembre 2007

Duende



Voglio iniziare a parlare finalmente di flamenco e soprattutto oggi voglio provare a spiegarvi che cosa significa essere flamenco.

Il flamenco rappresenta per me una parte importante del mio essere e della mia vita. Ho iniziato a studiare il baile un po’ per caso sedici anni fa e sono rimasta subito colpita da come si adattasse a ciò che sentivo dentro. E’ stato come uno scandagliare dentro di me.

Perché il flamenco non è un ballo o un canto o una musica. Il flamenco è un modo di essere. Come tale, è un modo di sentirsi e di esprimersi.
L’arte è data dalla forza interpretativa, non dalla bellezza estetica. Ciò che può sembrare brutto, se non addirittura grottesco, nel flamenco è bello.
Questo particolare tipo di espressione viene chiamato duende, essenza dell’estetica flamenca.
Questo termine in italiano non ha una traduzione corrispondente: significa folletto, spirito, demone. E la parola giusta sarebbe proprio “demone”.

Federico Garcia Lorca, nella sua Teoria y juego del cante jondo ha scritto:
“Tutto ciò che ha suoni oscuri ha duende. Questi suoni oscuri sono il mistero, le radici che affondano nel limo che tutti noi conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da dove proviene ciò che è sostanziale nell’arte. Il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare. Ho sentito dire a un vecchio maestro di chitarra: Il duende non sta nella gola; il duende sale interiormente dalla pianta dei piedi. Vale a dire, non è questione di facoltà, bensì di autentico estilo vivo; ovvero di sangue; cioè, di antichissima cultura, di creazione in atto. Per cercare il duende non vi è né mappa né esercizio. Si sa soltanto che brucia il sangue come un topico di vetri, che prosciuga, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili.”

Per definire il duende, Lorca cita il seguente episodio (e leggete con attenzione le parole poetiche che usa per descrivere la scena!):

“Una volta, la cantora andalusa Pastora Pavón (chiamata La Niña de los Peines), cupo genio ispanico, cantava in una tavernetta di Cadice. Giocava con la sua voce d’ombra, con la sua voce di stagno fuso, con la sua voce coperta di muschio, e se la intrecciava nella chioma o la bagnava nella manzanilla o la perdeva in intrichi oscuri e lontanissimi. Ma niente, era inutile, gli ascoltatori stavano zitti. Pastora Pavón finì di cantare nel silenzio.
Solo, e con sarcasmo, un uomo piccolino, di quegli ometti ballerini che escono d’improvviso dalle bottigliette di acquavite, disse a bassa voce: “Viva Parigi!” come a dire: “Qui non ci interessano le capacità, né la tecnica, né la maestria. Ci interessa un’altra cosa!”. Allora la Niña de los Peines si alzò come una folle, conciata come una préfica medievale, trangugiò d’un fiato un gran bicchiere di acquavite come fuoco, e si sedette a cantare senza voce, senza fiato, senza sfumature, con la gola riarsa ma…con duende. Era riuscita a uccidere tutta l’impalcatura della canzone per cedere il passo a un duende furioso e rovente, amico dei venti carichi di sabbia, che induceva gli ascoltatori a stracciarsi le vesti. La Niña de los Peines dovette squarciarsi la voce perché sapeva che gli ascoltatori erano dei raffinati che non chiedevano forme, bensì midollo di forme, musica pura con il corpo leggero per potersi liberare. Dovette privarsi di facoltà e sicurezze; ossia, allontanare la sua musa e abbandonarsi, perché il suo duende venisse e si degnasse di lottare a viva forza. E come cantò! La sua voce non giocava più, la sua voce era un fiotto di sangue degno del suo dolore e della sua sincerità…”.
Il garbo, la grazia, la personalità e il duende sono qualità fondamentali. Il baile flamenco comprende movimenti di piedi (zapateado, punteado, pateo), corpo (torsión, vaivén, convulsión) e braccia (braceos, manos y dedos). E’ stato definito come ballo individuale, basato sulla improvvisazione e la creazione, che esige grande concentrazione e si realizza in uno spazio contenuto.

Il baile non può essere mai considerato separato dal cante e dal toque (la chitarra). Il flamenco è composto da diversi stili (palos) ben differenziati e con alcune regole generali di coreografia. A seconda del loro carattere drammatico, gli stili del baile si possono dividere in jondos (balli strettamente legati alla tradizione gitana e di solito più drammatici, quali soléa e seguiriya), festivos (balli burleschi come alegrías, bulerías, tangos...) o populares (sevillanas, fandangos).

Chiudo con una bella descrizione dell'essere flamenco di Tomás Borrás nella sua Elegía del cantaor:
"Essere flamenco è avere un'altra carne, un'altra anima, altre passioni, un'altra pelle, altri istinti, desideri:
è avere un'altra visione del mondo, con un sentimento grande; il destino nella coscienza, la musica nei nervi, fierezza indipendente, allegria con lacrime; è il dolore, la vita e l'amore che incupiscono; odiare la routine, il metodo che castra; immergersi nel cante, nel vino e nei baci; trasformare la vita in un'arte sottile, capricciosa e libera; senza accettare le catene della mediocrità; giocarsi tutto in una scommessa; assaporarsi, darsi, vivere. Questo."

13 commenti:

dioniso ha detto...

Non sapevo che dietro il flamenco ci fosse tutto questo.

Saluti

Stregazelda ha detto...

e non ho ancora finito...questo post è soltanto l'inizio ;-)

Geillis ha detto...

ciao, sono Geillis, e anch'io studio flamenco da undici anni. E' una passione che, se ti travolge, non ti abbandona più, lo senti nel sangue, nei piedi che fremono, nelle mani che si muovono appena sentono la musica...il flamenco te lo porti dentro.

Anonimo ha detto...

Ammappate!
Carlos Gardel fa parte della famiglia dei "tangheri"?
E' tra le poche cose che conosco del sud america. Per mia parte sono un poco più ruspante e per certe affinità territoriali mi scateno solo con la pizzica :-)
Buon Fine Settimana

Stregazelda ha detto...

ubik
perdonami ma purtroppo devo correggerti: il tango non c'entra, qui si tratta di flamenco e proviene dalla spagna. Ho notato che da noi spesso viene fatta confusione, ma si tratta di due arti ben diverse tra loro, con origini ben distinte. Comunque ben vengano tango, flamenco o pizzica che siano, la musica e la danza sono meravigliosi modi di esprimere ciò che alberga dentro di noi!

Stregazelda ha detto...

geillis,
piacere di conoscerti! Ho dato una veloce occhiata al tuo blog e vedo che abbiamo delle cose in comune, i libri, anche se di diversi generi, il flamenco, la cucina...E poi vedo che sei un pò strega anche tu!!! A presto!

Anonimo ha detto...

Penso di essere l'unico, tra quanti ti leggono, ad aver avuto la possibilità di vederti praticare quanto hai scritto, al teatro Olimpico mi pare: con il flamenco il corpo diventava il prolungamento della tua indole. Ed è là che avevo già capito quanto scrivi che, almeno per il flamenco, "l'arte è forza interpretativa".

@ubik: scusa la deformazione, ma Gardel è il maestro del tango argentino, che è poi il ballo nato tra gli emigrati italiani in quel paese i quali, essendo agli inizi solo maschi, soli, isolati e lontani dalle mogli, ballavano tra di loro e, avendo un contatto fisico, stimolavano i propri bisogni fisiologici in un atteggiamento naturale e represso del "vorrei ma non posso" che ha fatto poi del tango il ballo sensuale che conosciamo.

Anonimo ha detto...

@ Stregazelda:
Ops...scusa la confusione, ma credo sia indicativa :-)
@ Eugenio:
grazie per la delucidazione. Effettivamente ne so poco, però mi interessano le spiegazioni e le interpretazioni storico-antropologiche e questa mi sembra estremamente interessante.

Anonimo ha detto...

@ubik: prego. Queste cose interessano anche a me, soprattutto in alcuni generi musicali e attraverso alcuni fenomeni, come quello migratorio appunto. Ci sarebbe, ad esempio, molto da dire e studiare, da questo punto di vista, sul ruolo degli emigrati italiani circa la genesi del jazz.

Stregazelda ha detto...

@eugenio
mi incuriosisce questo argomento...comunque alla fine sei riuscito a buttarla sempre sul tuo argomento preferito anche nel mio blog! Certo che c'è un filo logico in tutto questo...flamenco, tango, jazz, gitani, emigrati...

Geillis ha detto...

sei di Roma anche tu, vero? Sei in qualche scuola, oppure balli da qualche parte? Il mondo del flamenco, anche a Roma, è abbastanza ristretto...

Manuela ha detto...

Complimenti per il blog ed in particolare per questo post, hai trattato molto bene un argomento così complesso!

Anonimo ha detto...

qui il testo completo http://www.igiornielenotti.it/?p=4042